Garlasco, la Corte d'assise: «Stasi massacrò Chiara senza pietà, per lui era diventata pericolosa»

Alberto Stasi
MILANO - E’ come se sulla scena del delitto ci fosse la firma di Alberto Stasi. Perché Chiara Poggi “è rimasta del...

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MILANO - E’ come se sulla scena del delitto ci fosse la firma di Alberto Stasi. Perché Chiara Poggi










“è rimasta del tutto inerme” di fronte al suo aggressore: “Era così tranquilla, aveva così fiducia nel visitatore da non fare assolutamente niente, tanto da venire massacrata senza alcuna fatica, oltre che senza alcuna pietà”. Lo scrive la Corte d’Assise d’Appello di Milano nelle motivazioni della sentenza con cui l’ex bocconiano è stato condannato a 16 anni di carcere per l’omicidio della fidanzata. Chiara non poteva immaginare che il ragazzo che amava aveva suonato alla sua porta per massacrarla, perciò ha aperto senza timore. E in una manciata di secondi si è scatenato l’inferno. «La dinamica dell’aggressione evidenzia come Chiara non abbia avuto nemmeno il tempo di reagire, dato questo che pesa come un macigno sulla persona con cui era in maggior e quotidiana intimità».



PRESENZA SCOMODA

Per il giudice estensore Barbara Bellerio ”la sola vittima di questo processo è Chiara Poggi, uccisa a venticinque anni dall’uomo di cui si fidava e a cui voleva bene, che l’ha fatta definitivamente scomparire in fondo alle scale”. E’ stato il biondino dagli occhi di ghiaccio ad assassinare ”brutalmente la fidanzata, che evidentemente era diventata, per un motivo rimasto sconosciuto, una presenza pericolosa e scomoda, come tale da eliminare per sempre dalla sua vita di ragazzo per bene e studente modello, da tutti concordemente apprezzato”. Insomma, Stasi non è ”la vittima di un caso giudiziario che lo ha costretto per oltre sette anni a doversi difendere”, come hanno sostenuto i suoi avvocati, e non c’è stato alcun ”accanimento nei suoi confronti”. In realtà dietro la maschera di giovane perfetto si cela un Alberto spietato, durante e dopo l’assassinio di Chiara. La ricostruzione dell’omicidio fatta dai giudici mette in evidenza ”una sorta di progressione criminosa, dipendente dalla reazione della vittima, già inizialmente colpita al capo, e poi di nuovo e con maggiore violenza ancora colpita, in prossimità della porta della cantina, fino alla azione finale del lancio, a testa in giù, lungo le scale”.



IL MISERO DELL’ARMA Per la Corte d’Assise d’Appello Chiara ”è stata uccisa da una persona conosciuta, che lei stessa ha fatto entrare in casa”. Così si spiega il fatto che non abbia reagito e che il suo corpo sia stato gettato ”a testa in giù da una scala collocata dietro a una porta uguale a tutte le altre porte dell’abitazione”. Dunque, rilevano i giudici, l’aggressore conosceva quella casa, come sarebbe dimostrato anche dal percorso effettuato per uscire: ”Entrava in bagno per lavarsi del sangue con cui si era sporcato, si portava poi in cucina dove sostava brevemente (forse per cercare un sacchetto con cui occultare l’arma e altro), quindi usciva. Alberto era arrivato in bici nella villetta di via Pascoli, lasciandola davanti a casa di Chiara ”senza preoccuparsi di nasconderla, ed era da solo”.



PORNOGRAFIA


Nelle motivazioni il giudice Bellerio pur sostenendo che ”il movente dell’omicidio è rimasto sconosciuto”, afferma che a provocare il ”raptus omicida” è stata una ”motivazione forte”, tale da spingere Alberto a massacrare la fidanzata con cui aveva ”qualche difficoltà”. La condotta di Stasi tuttavia, ”all’evidenza supportata da un dolo d’impeto, scatenato da quel movente che non è stato possibile accertare, va valutata nella sua unicità e nel suo sviluppo indirizzato verso l’esito finale voluto, ovvero la morte della vittima”. La ”passione” dell’ex bocconiano ”per la pornografia” avrebbe potuto ”provocare discussioni, anche con una fidanzata di larghe vedute”. Un dissidio che ha scavato un solco nella coppia, diventando un problema insormontabile che Stasi avrebbe eliminato uccidendo Chiara. Mantenendo il controllo e i nervi saldi anche dopo il delitto: ”L’imputato è riuscito con abilità e freddezza a riprendere in mano la situazione e a fronteggiarla abilmente, facendo le sole cose che potesse fare, quelle di tutti i giorni: ha acceso il computer, visionato immagini e filmati porno, ha scritto la tesi, come se nulla fosse accaduto». Il suo comportamento è stato ”fuorviante e finalizzato ad allontanare i sospetti dalla sua persona: ha subito sviato le indagini senza mettere a disposizione degli inquirenti tutto quanto aveva via via interesse investigativo”. E in questo modo ”è riuscito a rallentare gli accertamenti a proprio vantaggio, anche grazie agli utili errori commessi dagli stessi inquirenti”. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero