Hanno scelto di lasciare gli affetti, la sicurezza della loro casa, di congedarsi da genitori, parenti e amici, per rischiare la vita, ogni giorno. Si chiamano chayal boded ovvero...
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VITA IN COMUNE
Molti vivono nei kibbutz, altri condividono appartamenti per risparmiare. Quello che li guida, a sentirli parlare, mentre si prendono una pausa durante l'orario di servizio, è l'amore per Israele. «Venivo spesso in vacanza a Tel Aviv racconta Nancy Saada, 24 anni, originaria di Milano e ho sempre avuto un forte attaccamento a questa terra. I miei nonni sono dovuti fuggire, per sopravvivere, dal Libano e dalla Libia». Nancy, oggi, è istruttrice di carri armati: nello specifico, insegna a guidare il Nagmash, un mezzo da 11 tonnellate, relativamente rapido (viaggia fino a 60 Km/h), che viene usato per trasportare soldati e feriti nelle zone di guerra. Niente volante, ma solo due bastoni, gli stikim. Si è arruolata nel dicembre del 2014 e il suo servizio terminerà a dicembre di quest'anno. «Questo è un esercito in cui credo tanto, dove c'è una moralità molto alta dice, parlando al telefono dalla base di Eliat Lavoriamo molto, la mia giornata inizia alle 7 e si chiude a sera tardi, ma qui ho trovato la mia dimensione». L'Italia è il Paese in cui è cresciuta e dove torna, in vacanza, per salutare parenti e amici. Da giovane, ricorda, è stata vittima, con la famiglia, di alcuni episodi di antisemitismo: «Durante la festa delle capanne, disegnarono nel mio giardino delle svastiche. Altre volte, alle fermate del bus sono apparse le scritte Juden raus'. Episodi che non posso dimenticare». Silvia T., 21 anni, è arrivata a Tel Aviv da Torino. Si è arruolata nell'aprile del 2015 e presta servizio in Cisgiordania, sulle ambulanze, con il personale paramedico. Ha visto corpi mutilati, cadaveri, ha aiutato persone in fin di vita. «Qui soccorriamo tutti e affrontiamo ogni genere di emergenza racconta Quando ho prestato giuramento, ho promesso di non fare differenza tra le persone che assistiamo e questo è un valore da cui non possiamo prescindere, mai».
UOMINI E DONNE
La cosa più bella di questo lavoro è il grazie che raccoglie quando aiuta uomini e donne in difficoltà: «Quello che proviamo dopo aver salvato una vita è indescrivibile». Micol Debash, 24 anni, ha lasciato la capitale, dove era impiegata come addetta stampa presso la comunità ebraica e nell'IDF si occupa di relazioni internazionali. Un altro romano è Dario Sanchez, che, grazie alle sue esperienze nel settore della comunicazione, si è arruolato come fotografo e documenta, quotidianamente, le attività dell'esercito. Un esercito che ha scelto di affidarsi ai giovani, alla loro energia e al sano entusiasmo per quella che rimane una missione. «Amo l'Italia ammette Shirel Sasson, 24 anni e ogni volta che torno dai miei mi emoziono. Ma quello che ho trovato in Israele è unico». Nessuno mostra segni di pentimento, anche se, quotidianamente, convive con il pensiero di un attacco terroristico. La paura è un sentimento che non conoscono, o che hanno imparato a dissimulare. «Rifarei questa scelta a occhi chiusi», dice Nancy, prima di tornare dai suoi Nagmash.
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Il Messaggero