È passata solo una settimana dalla sua elezione, ma Rodrigo Duterte non vuole perdere tempo in fatto di ordine e sicurezza. Il nuovo presidente filippino ha messo oggi in...
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«Chi distrugge le vite del mio popolo sarà ucciso. Chi distrugge le vite dei miei bambini sarà distrutto. Nessun compromesso, nessuna scusa», ha detto Duterte (71 anni) in una conferenza stampa a Davao, la città di cui è stato sindaco per oltre vent'anni. Il presidente eletto - i risultati non sono ancora stati ufficializzati, ma il suo vantaggio appare incolmabile - ha fatto capire di considerare una priorità la lotta al traffico di stupefacenti. «Ho promesso di salvare le prossime generazioni dal male rappresentato dalle droghe», ha detto, data l'emergenza del problema sociale delle metanfetamine e dei crimini a esse legati, tale determinazione è stata una parte fondamentale del suo successo elettorale. Duterte ha specificato di voler istituire delle milizie armate da dislocare sul territorio provincia per provincia. Una proposta probabilmente ben accolta dal suo elettorato, ma che fa tornare in mente le squadre di vigilantes responsabili di almeno 1.700 esecuzioni sommarie di criminali nei suoi due decenni alla guida di Davao. Il risultato di ripulire la città dalle gang fu ottenuto - e valse a Duterte il soprannome «il castigatore» - ma secondo le organizzazioni per i diritti umani al prezzo di un'interminabile lista di abusi.
L'altra proposta del nuovo leader è di affidare cariche governative ad alti esponenti del Partito comunista delle Filippine, tra cui il suo leader in esilio Josè Maria Sison. Quest'ultimo, che vive in Olanda e fu una volta descritto dagli Usa come una «persona che sostiene il terrorismo», ha subito risposto di voler considerare la proposta per il suo movimento, aggiungendo comunque di non essere interessato personalmente a un posto nell'esecutivo.
L'apertura ai comunisti non è comunque del tutto inaspettata: da Davao, una delle loro roccaforti, Duterte - che ha proposto un referendum sul federalismo entro due anni - ha avuto abbondanti occasioni di capire le aspirazioni dei ribelli, la cui lotta appare sempre più un residuo storico e ha perso vigore negli ultimi anni.
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Il Messaggero