Abbandona la «fase zen» per qualche minuto, Matteo Renzi. Per mandare un messaggio ai dirigenti del Pd che sentono «l'esigenza di differenziarsi su tutto...
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Ma segna anche un punto con i suoi: il Pd è «l'unico argine ai populismi» ma vince solo come «squadra», con Delrio e Minniti insieme. Renzi prosegue la lunga serie delle presentazioni del suo libro prima con un confronto con i militanti a Frascati (qui l'affondo sulla «figuraccia» delle mancate Olimpiadi a Roma, che «strappano un sogno a un'intera generazione», e sui soldi «rubati» dalla Lega), poi con un'intervista alla festa di Roma, nel quartiere Testaccio. Il direttore del Messaggero Virman Cusenza dal palco cita Massimo D'Alema. Ed è subito brusio in platea. Renzi ferma le contestazioni («Non li insulto come hanno fatto con me alcuni») ma ai dirigenti Dem che sarebbero pronti a chiederne le dimissioni in caso di sconfitta in Sicilia, manda fin d'ora un messaggio: ad attaccare ogni giorno la segreteria si ottiene l'unico effetto di perdere le elezioni.
In platea ci sono Nicola Zingaretti e Marianna Madia, ma arriva anche Graziano Delrio, a smentire frizioni dopo le sue parole sullo ius soli. «Delrio e Minniti - assicura Renzi - la pensano allo stesso modo. Il problema sono i voti perché nel 2013 abbiamo non vinto. Ma che Gentiloni decida o meno di mettere la fiducia, non faremo nessuna polemica». Il segretario torna a ribadire che non farà il controcanto al premier neanche sulla manovra. Ma sottolinea: «Non aspettatevi miracoli, non c'è spazio per abbassare le tasse. Sarà una battaglia della prossima legislatura». E, a dispetto di chi gli attribuisce la volontà di non far niente, vede un varco anche sulla legge elettorale: «Non sono scettico, sono disincantato. Ma non escludo che qualcuno nelle prossime ore rinsavisca: il Pd è disponibile».
Il leader Dem fa anche una panoramica degli altri temi di attualità, dalla legge sull'apologia di fascismo («Non si cancellino le scritte dai monumenti, perché non si cancella la storia») al referendum per l'autonomia in Lombardia e Veneto («Non serve a niente ma chi vota sì lo capisco»).
Il Messaggero