Femminicidio, Lorenzin: «Serve piano nazionale, un patto tra scuola e genitori»

Femminicidio, Lorenzin: «Serve piano nazionale, un patto tra scuola e genitori»
Roma – Per fermare il femminicidio, virus che ciclicamente emerge, con dati terribili, quasi da epidemia, bisogna ricostruire la relazione tra uomini e donne e pensare a una...

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Roma – Per fermare il femminicidio, virus che ciclicamente emerge, con dati terribili, quasi da epidemia, bisogna ricostruire la relazione tra uomini e donne e pensare a una nuova alleanza tra scuola e genitori. «Si deve partire dalle scuole, insegnare ai bambini a volersi bene e a rispettarsi, vero antidoto alla cultura dell’odio, alla rabbia ai fenomeni, troppi, di autolesionismo». Il ministro della Salute e leader di Civica Popolare in campo con il Pd, Beatrice Lorenzin, riflette sulla vicenda di Latina, l’ultimo episodio di una strage infinita. 114 donne uccise in Italia nei primi dieci mesi del 2017, 149 nel 2016, 1870 negli ultimi dieci anni. Una donna uccisa ogni due giorni. Uccise da cittadini italiani, nel 92 per cento dei casi, al Nord più che al Sud, quasi sempre da mariti, conviventi, compagni, fidanzati.


«Una strage che è possibile fermare e che deve essere fermata con ogni mezzo a disposizione di una società che si definisca civile. La punta di un iceberg formato da 6 milioni e 788mila donne fra i 16 e i 70 anni che almeno una volta hanno subito violenza fisica o sessual» dice Lorenzin, ammettendo che esiste una «sottovalutazione delle grida di paura che vengono dalle donne». Del resto anche a Latina la povera Antonietta aveva raccontato in questura, dai carabinieri, al parroco, agli assistenti sociali le violenze subite dal marito che voleva lasciare. Non c'erano reati specifici, hanno spiegato le autorità, che per questo non sono intervenute.  I dati sono spietati: nel 2017 su 13mila denunce per stalking solo in 200 casi gli uomini sono stati allontanati, o hanno ricevuto il divieto di avvicinarsi alla famiglia.

«Bisogna aiutare le donne a denunciare, a superare la vergogna, ad avere fiducia nelle forze dell'ordine e nella giustizia, ma occorre che le donne siano accolte, aiutate, protette. Devono essere rapide le udienze per la revoca del porto d'armi o i provvedimenti di sequestro delle armi nelle case. Questa non è una battaglia delle donne, è una battaglia della società tutta. Abbiamo bisogno che i nostri padri, fratelli, mariti e amici ci aiutino a fermare i violenti. Ma serve anche rafforzare i presidi psicologici, i presidi psichiatrici sui territori , ancora fanalino di coda del SSR. Dobbiamo immaginare anche un diverso supporto psicologico alla coppia e alla famiglia , dobbiamo insomma mettere in campo una vera e propria rete su tutto il territorio nazionale per prevenire, curare e fermare questo orrendo femminicidio».


«Ancora oggi, nel terzo millennio, dietro ai femminicidi c'è una visione della donna come proprietà privata dell'uomo, inadatta a prendere decisioni autonome, destinata a un ruolo subalterno. Siamo di fronte a una emancipazione spesso apparente, a progressi che crollano di fronte alle dinamiche del privato e alla solitudine delle relazioni dove sembra prevalere una rabbia patologica è un disinteresse generale. I  passi avanti di una società sono una responsabilità di tutti, nessuno escluso».
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Il Messaggero