Elsemiek de Borst era una ragazza molto bella. Bionda, occhi azzurri. Le foto ce la mostrano allegra e sorridente come si dovrebbe sempre essere a 17 anni. E probabilmente...
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Da quel momento suo padre, Hans de Borst, non ha avuto pace. Prima la timida speranza che si potesse trattare di un errore, di un brutto sogno. Poi con il passare delle ore la certezza che l’aereo su cui viaggiava sua figlia era stata abbattuto da un missile nei cieli ucraini.
Così il 20 luglio, mentre prendeva sempre più corpo l’ipotesi (non ancora confermata) che a lanciare quel missile fossero stati i filo-russi, ha affidato la sua rabbia nei confronti di uno degli uomini più potenti della terra al suo profilo Facebook, lo stesso con cui la figlia – come aveva già fatto in passato – avrebbe probabilmente condiviso le foto del suo viaggio.
“Grazie mister Putin, leader dei separatisti o governo ucraino (…) per aver ucciso la mia amata e unica figlia” esordisce nella sua lettera, raccolta dai tanti che – come noi – cercano di raccontare le storie oltre la vicenda politica, il dramma umano oltre gli interessi dei potenti.
E anche lui racconta una storia, la storia di una giovane studentessa del ginnasio al Segbroek College a Den Haag, in Olanda, che – dopo la promozione con ottimi voti – voleva solo godersi la sua vacanza in Malesia in attesa di cominciare a frequentare l’ultimo anno delle superiori insieme alle amiche del cuore, Julia e Marina. Una storia come tante altre, di un’adolescente che aveva tifato Olanda ai recenti mondiali insieme al padre, come testimoniano le foto su Facebook, e che avrebbe voluto studiare ingegneria. Una ragazza che, come gli altri passeggeri di quel volo maledetto, non avrebbe pensato di “esplodere nel cielo di una nazione sconosciuta” per una guerra di cui aveva solo sentito parlare in televisione.
Non è una lettera, ma un grido di dolore quello di Hans de Borst - “spero che sia fiero di aver colpito mia figlia, tra gli altri, e di aver portato via la sua giovane vita e il suo futuro, e che domani sia ancora capace di guardarsi nello specchio” – in cui riecheggiano i sentimenti di tutti coloro che hanno visto i sogni dei loro cari, le loro vite svanire nel nulla per l’assurdità di una guerra di cui non erano in alcun modo parte.
De Borst è un uomo distrutto, come egli stesso scrive nella sua lettera affidata ai social, ma non dimentica il ruolo istituzionale e il suo essere olandese: “post scriptum mister Putin, spero che la sua conversazione con il nostro primo ministro Rutte le abbia aperto gli occhi! So che è rimasto colpito da tutto ciò e io vorrei che lei lasciasse agli investigatori olandesi la possibilità di fare il loro lavoro. Grazie in anticipo”.
Le parole, spontanee e senza filtri, di un uomo, un padre, un olandese… non necessariamente in questo ordine. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero