Lucida follia. Questa la sintesi della tragedia familiare che ha sconvolto l'Abruzzo. Fausto Filippone, manager 49enne, ha messo in atto un piano che nella sua mente aveva...
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La trappola. «Andiamo a comprare la lavatrice» aveva detto Fausto alla moglie. Ma lungo il tragitto si era fermato con lei nell'appartamento di piazza Roccaraso a Chieti scalo che l'uomo era solito affittare a studenti. E' lì che si è consumato il primo delitto. Una scaletta trovata sul lato sinistro del balcone, «compatibile con la traiettoria della caduta della donna», è per la squadra mobile la prova della trappola studiata a tavolino: l'ha fatta salire, forse con il pretesto di un selfie, e l'ha spinta giù. La donna, soccorsa agonizzante, è morta due ore più tardi in ospedale. Omicidio studiato e quindi premeditato. «Non un suicidio, nè un malore» ha stabilito Cristian D'Ovidio, il medico legale che ha eseguito l'autopsia sul corpo della donna, interpretando la dinamica della caduta. Altro dettaglio: nessun segno di colluttazione, non s'è trattato dunque di un delitto d'impeto al culmine di una lite.
Filippone è poi sceso nel piazzale e ha fornito ai soccorritori del 118 false generalità della moglie. «Farfugliava, assisteva quasi da estraneo a quella terribile scena» ha detto un testimone. Nessuno lo ha fermato. Nemmeno la volante della polizia che era già sul posto. Una disattenzione che ha consentito all'uomo di portare a compimento il suo piano di morte. E' tornato nella sua casa di via Punta Penna a Pescara per prendere la piccola Ludovica: «Papà ti fa una sorpresa» le aveva fatto dire dalla zia e lei s'era fatta trovare in strada ad attenderlo. L'ha caricata in macchina ed è salito fino al cavalcavia dell'autostrada a Francavilla al Mare. Alla vista degli agenti della polizia stradale l'ha gettata di sotto. La piccola è precipitata senza emettere un fiato. A quel punto il finale era già scritto, come certificato dagli specialisti, il maresciallo dei carabinieri Alessio D'Alfonso e lo psichiatra Massimo Di Giannantonio, mediatori che hanno cercato invano di fermarlo.
Quale che sia stato il movente, per gli inquirenti ormai conta poco: con la morte del reo, l'inchiesta finisce sul nascere. Il suicidio del manager ha chiuso il cerchio di una tragedia che non si spiega, se non nella lucida follia dell'uomo. Una persona normale in una famiglia normale, un gran lavoratore hanno detto gli amici. Quindici mesi fa qualcosa in lui si era rotto (ad agosto scorso aveva perso la madre) e questo lo ha trascinato in una spirale depressiva autodistruttiva nella quale ha tirato dentro le persone a lui più care. Francesco Angrilli, fratello di Marina, ha escluso il movente passionale, ipotizzato da parole attribuite a Filippone: «Mia sorella era una madre, moglie e insegnante irreprensibile, da prendere come esempio. Certe notizie sono inaccettabili».
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Il Messaggero