Un processo unico nella storia, una causa destinata a fare epoca. Alla sbarra un miliardario svizzero e un nobile belga morto nel corso del procedimento, Stephan Schmidheiny e...
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La «battaglia finale» contro l'Eternit inizia nel 2009 in seguito alle indagini del procuratore Raffaele Guariniello. Il 6 aprile di quell'anno prende il via l'udienza preliminare con 2.889 persone offese: è la più grande mai celebrata dal tribunale di Torino. I due imputati rispondere delle accuse di disastro doloso e di rimozione volontaria di cautele sui luoghi di lavoro per le malattie (quasi tutte con esito letale) che hanno colpito 2.619 ex dipendenti delle sedi di casale Monferrato (Alessandria), Cavagnolo (Torino), Rubiera (Reggio Emilia), Bagnoli (Napoli) e 270 tra familiari o residenti - a Casale Monferrato - venuti in contatto per svariati motivi con le fibre del minerale.
Otto mesi dopo, il 10 dicembre 2009, alle 10.17 in punto si apre il processo, che arriverà a contare oltre 6.300 parti civili. Il 13 febbraio 2012 arriva la sentenza di primo grado, che condanna a 16 anni i due imputati e prevede indennizzi per 80 milioni di euro. Il ricorso in appello è contenuto nelle 643 pagine dei difensori di Schmidheiny e De Cartier, e si apre il 14 febbraio 2013, un anno dopo la storica sentenza di primo grado.
Quattro mesi dopo, il 3 giugno, Schmidheiny viene di nuovo condannato: l'appello inasprisce la pena, che passa da 16 a 18 anni, e stabilisce un indennizzo di 89 milioni di euro per le parti civili. «Questa sentenza è un inno alla vita, un sogno che si avvera», il commento del procuratore Raffaele Guariniello. Oggi la Cassazione annulla, senza rinvio, dichiarando prescritto il reato, la sentenza di condanna. «Non bisogna demordere. Non è una assoluzione. Il reato c'è. E adesso - dice Guariniello - possiamo aprire il capitolo degli omicidi».
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Il Messaggero