Il passo indietro/ Che errore cancellare i voucher sul lavoro

Il passo indietro/ Che errore cancellare i voucher sul lavoro
Le prime statistiche sull’uso dei “voucher” nel lavoro, introdotti dalla nuova legge, ci dicono che quest’uso è sostanzialmente ridotto a zero. Per...

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Le prime statistiche sull’uso dei “voucher” nel lavoro, introdotti dalla nuova legge, ci dicono che quest’uso è sostanzialmente ridotto a zero. Per questo motivo si parla poco in pubblico dei voucher ma se ne parla molto in privato.

Chi se ne serviva correttamente per regolare i lavori saltuari e marginali non sa infatti più come comportarsi. Anzi, la maggior parte di coloro con i quali ho avuto modo di approfondire quest’argomento, ha confessato di essere costretta a comportarsi come si comportava nei vecchi tempi: pagare in nero o essere pagati in nero. Si sta ovviamente ritornando ai comportamenti seguiti prima che si introducessero i voucher, che erano stati voluti (a imitazione di quanto già avveniva in molti altri paesi) proprio per garantire, almeno in parte, i lavoratori che esercitavano funzioni minori e saltuarie. Sappiamo che quest’innovazione, certamente positiva, è stata indebitamente estesa e largamente oggetto di abusi. In questi casi l’interesse generale avrebbe dovuto sollecitare il governo e le parti sociali a elaborare una strategia comune per combattere l’abuso e spingere all’applicazione della legge. Di abusi indubbiamente ce ne sono stati. Leggendo i dati disponibili l’uso del voucher si è infatti esteso al di fuori dei confini previsti.

Nel 2016 il numero dei voucher utilizzati aveva superato i 130 milioni ed aveva interessato oltre un milione e trecentomila prestatori d’opera, con una serie ben documentata di irregolarità. Gli abusi potevano tuttavia essere facilmente controllati, anche perché era possibile (ed era prevista) la tracciabilità dell’intero processo.
E’ proprio ciò che non è avvenuto: un controllo severo e condiviso. Questo risultato può essere raggiunto solo attraverso l’accordo e il dialogo fra le diverse parti sociali e fra queste e il governo, mettendo sul tavolo i problemi concreti delle imprese, dei lavoratori e dell’economia.
Si è percorso invece il cammino opposto e si è chiesto un referendum, che è lo strumento istituito per decidere fra il sì e il no, fra due proposte alternative come Repubblica e Monarchia, ma che non è uno strumento adatto a intervenire quando si deve operare per migliorare con la lima e non con il martello le imperfezioni di una legge.

Sbagliato è stato quindi il ricorso al referendum sui voucher da parte della CGIL e sbagliata è stata la risposta del governo che, per evitare il referendum, ha sostanzialmente reso impossibile il loro uso che, con le nuove discipline, si è ridotto a poche centinaia di famiglie e a poche migliaia di imprese.
Come abbiamo già messo in rilievo, i voucher furono istituiti per dare un minimo di garanzia a chi faceva lavori saltuari senza alcuna protezione sociale. L’applicazione è partita dall’agricoltura per proteggere, almeno parzialmente, coloro che erano ingaggiati per la vendemmia pochi giorni all’anno. È stata poi estesa ad altri piccoli lavori di durata temporanea ma ugualmente importanti per la nostra economia. La semplicità del loro uso li ha resi uno strumento prezioso per le famiglie e le piccolissime imprese e, quando sono stati usati in coerenza ai loro obiettivi, hanno funzionato bene.
Come abbiamo già messo in rilievo, i voucher sono stati sempre più usati anche per ridurre gli oneri salariali e mettere in atto un’eccessiva flessibilità del lavoro, diminuendone le garanzie pensionistiche e assicurative. La nuova legge ha ovviamente ridotto questi abusi ma ci ha privati di uno strumento che, senza dubbio, costituiva un miglioramento rispetto alla situazione precedente.

L’interesse politico di breve termine ha prevalso sulla possibilità di fare un passo in avanti nella disciplina di un istituto che, di fronte alle nuove regole restrittive e complicate, è sostanzialmente scomparso. La miopia politica ha prevalso ancora una volta sul riformismo che è l’anima di ogni paese democratico. Molto spesso abbiamo condannato la scelta del compromesso al ribasso come strumento per trovare un accordo fra i diversi partiti o fra le componenti di uno stesso partito. In questo caso siamo di fronte a un compromesso di livello ancora inferiore: per non turbare gli equilibri politici si è praticamente eliminato un istituto che era stato capace di rendere meno precarie le condizioni di molte migliaia di prestatori di lavoro marginali e temporanei.

Si è presa una decisione che ha eliminato molti abusi ma che, nello stesso tempo, ha peggiorato la situazione di un ben più grande numero di lavoratori. Abbiamo reso contenti i sindacati, i partiti e il governo ma l’economia e la società italiana hanno fatto un passo indietro. Parlate anche voi con le persone che vi stanno vicine: la quasi totalità di coloro che usavano i voucher vi risponderà che sono ritornati ad usare il contante. E’ un modo pudico per rispondervi che pagano o sono pagati in nero. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero