Dopo aver detto tutto e il contrario di tutto, l'Egitto aggiunge un nuovo capitolo sulla morte di Giulio Regeni: il ministero dell'Interno, lo stesso che il 24 marzo...
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C'entra ma non c'entra, insomma. L'ennesima capriola che per la prima volta suscita qualche sussulto anche in Egitto: in un editoriale il direttore del maggior quotidiano del paese, Al Ahram, espone chiaramente i suoi dubbi. «Prima della prossima trasferta in Italia degli investigatori - scrive Mohamed Abdel Hadi Allam - esortiamo lo Stato a portare in giudizio gli autori del crimine».
L'Egitto deve presentare, aggiunge, «prove e verità coerenti sulla vicenda» poichè le «versioni ingenue sulla morte di Regeni» finora circolate «hanno nociuto all'Egitto sia all'interno che all'estero e hanno dato a qualcuno la giustificazione per giudicare quello che succede nel paese e dire che niente è cambiato, come se fossimo nella fase che precedeva la rivoluzione del 25 gennaio». Parole piuttosto chiare che lasciano ipotizzare uno scontro con la presidenza da un lato e gli apparati di sicurezza dall'altro. A fornire l'ennesima versione, stavolta, è stato il viceministro aggiunto dell'Interno Abou Bakr Abdel Karim, intervistato dalla rete satellitare Al Haya.
Ma il viceministro si è guardato bene di fornire una spiegazione plausibile a quel che è evidente fin dal giorno della sparatoria: come sono finiti i documenti di Giulio a casa della sorella del capo della banda? Chi ce li ha portati? È stato individuato il fantomatico 'amicò del boss che 5 giorni prima della sparatoria gli avrebbe consegnato i documenti? Come è possibile che dei truffatori tengano per 2 mesi dei documenti così scottanti? Come mai una banda che sequestra stranieri per rapinarli non ha prelevato neanche un euro dal conto di Giulio, pur avendo il bancomat?.
A 48 ore dal vertice con gli investigatori italiani di Ros e Sco - un incontro che al momento non ha ancora una conferma ufficiale anche se i contatti telefonici tra gli italiani e gli egiziani sono andati avanti in queste ore - prosegue dunque la strategia che il Cairo ha adottato ormai dal 3 febbraio: buttare in pasto all'opinione pubblica interna e internazionale una qualunque 'verita«, senza alcuna prova concreta a sostegno delle tesi propinate, per poi aggiustare il tiro in base alle reazioni suscitate. E, soprattutto, per non fornire quegli elementi che gli inquirenti italiani chiedono ormai da mesi.
Per esempio, i tabulati telefonici di una decina di persone che prima della scomparsa aveva rapporti con Giulio: i suoi coinquilini, i vicini di casa, esponenti di sindacati indipendenti e ambulanti, amici del ricercatore.
Il Messaggero