Non compariranno più in tv fino a quando non saranno così dimagrite da avere “un aspetto appropriato”: otto giornaliste della televisione di stato...
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Senza parole e visibilmente scioccate le giornaliste che hanno subìto il provvedimento si dicono indignate. Khadija Khattab, una delle anchorwoman “spedite” per un mese a casa per mettersi a dieta, ha detto al giornale saudita Al Watan che si sentiva umiliata e trovava il provvedimento scandaloso: «La gente deve guardare le mie recenti apparizioni televisive e giudicare se sono grassa e se merito che mi sia impedito di lavorare».
D'altro canto la mossa fa parte di quella che è stata definita un'opera di ammodernamento della televisione di stato egiziana: ad aprile, a capo della ERTU, è arrivata Safaa Hegazy che ha promesso di farla diventare competitiva con i canali satellitari internazionali, eliminando l'immagine di sciatteria che da anni veniva appioppata all'emittente.
La decisione non è passata di certo inosservata e nel giro di poche ore ha già fatto il giro del mondo, scatenando le reazioni indignate dei gruppi che si battono per i diritti delle donne e che hanno bollato la mossa come sessista. Il Centro per l'orientamento e la consapevolezza giuridica delle donne ha condannato il caso, affermando che questo "viola la Costituzione" ed è una forma di violenza contro le donne, invitando l'ERTU a fare marcia indietro. Ma, nonostante le critiche e il dibattito scatenatosi sull'argomento, l'emittente televisiva ha fatto sapere che non tornerà sui propri passi.
«Giudicare qualcuno in base al suo peso non è un criterio giusto - ha detto Eman Beibers, presidente dell'Associazione per la valorizzazione delle donne con base al Cairo - Il nostro problema è che giudichiamo le persone dall'apparenza piuttosto che dalle prestazioni e dal contenuto. Avrei approvato la decisione di sospensione se tali presentatrici avessero fatto male il loro lavoro, ma non può diventare importante se sei magro o grasso. Pensiamo a Oprah Winfrey che è un esempio di successo, senza se e senza ma». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero