«Oggi abbiamo rivendicato l'aiuto dato a Fabo perché era un suo diritto e un nostro dovere», dice Marco Cappato. Entro una settimana si saprà se...
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DIRITTO A UNA VITA DEGNA
Cappato, sostengono i suoi difensori, non ha commesso alcun reato, ma "«a consentito l'esercizio del diritto alla dignità della vita» di Fabiano Antoniani, «affetto da paralisi totale e cecità assoluta» a seguito di un incidente stradale avvenuto il 13 giugno 2014. Il medico consulente dei pm Tiziana Siciliano e Sara Arduini - che hanno chiesto al gip l'archiviazione per il radicale - ha inoltre certificato «un tipo di dolore fisico che può raggiungere un'intensità insopportabile».
DISCRIMINAZIONE BEFFARDA
In quest'ottica, rileva la memoria, l'articolo 580 «risulta irragionevole ed eccessivamente rigido, perché non distingue situazioni molto diverse». Un conto, secondo i difensori, è chi può porre fine alla vita limitandosi a rifiutare le cure, altro chi invece ha bisogno di un aiuto esterno per morire. «Chi è in condizioni di patologia irreversibile tale da compromettere la dignità della vita, ma non dipende in toto dalle macchine, risulta discriminato rispetto a chi può porre fine alla vita con il semplice rifiuto alle cure». In questo modo, per i legali, «si rischia così di creare una discriminazione paradossale e beffarda tra chi ha la "fortuna" di poter porre fine alla vita solo esprimendo la colontà di rifiutare il trattamento e chi, per contro, pur essendo in analoghe condizioni di patologia irreversibile e di vita sofferente e non più dignitosa, può respirare autonomamente e quindi ha necessità di un aiuto per porre fine alla propria vita». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero