Gela. I boss in cella, le mogli a gestire il traffico di coca: 7 arresti

Una veduta di Gela, nel Nisseno
A Gela, il centro più popoloso della provincia di Caltanissetta coi suoi 75mila abitanti, narcotraffico e racket delle estorsioni erano saldamente in mano alle donne....

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A Gela, il centro più popoloso della provincia di Caltanissetta coi suoi 75mila abitanti, narcotraffico e racket delle estorsioni erano saldamente in mano alle donne. Questo l’esito fondamentale dell’inchiesta non per caso denominata “Donne d’onore”, coordinata dalla Dda nissena e messa a segno dai carabinieri del Reparto territoriale gelese, che ha portato a sette misure di custodia cautelare complessivamente.

 
Certo, in questo caso specifico le donne – Dorotea Liardo detta “Doroty”, cui toccherà solo l’obbligo di firma, Monia Greco e Maria Teresa “Mary” Chiaramonte, entrambe finite agli arresti domiciliari – erano scrupolose esecutrici di ordini che arrivavano da uomini: Giuseppe e Nicola Liardo, quest’ultimo padre di Giuseppe e considerato la “mente” di questo “giro” di cocaina, oltre che uomo apicale del clan Emmanuello di Cosa nostra (quello del “boss dei ragazzini” Daniele Emmanuello, all’epoca fra i dieci ricercati considerati più pericolosi dal Ministero dell’Interno, ucciso il 3 dicembre 2007 a Villarosa, in provincia di Enna, durante uno scontro a fuoco con la Polizia), Salvatore “Tony” Raniolo (genero di Nicola Liardo) e Salvatore Crisafulli (già compagno di cella dello stesso Liardo senior), tutti destinatari di custodia cautelare in carcere.
 
Tutt’e sette gli indagati dovranno rispondere di narcotraffico aggravato dal metodo mafioso, estorsione aggravata e danneggiamenti.

Secondo gli investigatori, le strategie venivano elaborate in carcere da Liardo e Crisafulli: la Greco (compagna di Nicola Liardo), la Chiaramonte (compagna di Salvatore Crisafulli) e “Doroty” (figlia di Nicola Liardo e moglie di Raniolo) nei fatti fungevano da “braccio” per dare concretezza al disegno criminoso pensato dietro le sbarre. Ma una volta che il “piano” era pronto e comunicato, erano proprio loro a comandare sul territorio impartendo ordini ai “picciotti”.

Peculiare poi il ruolo svolto da Raniolo, incaricato di piazzare la “roba” in arrivo da Catania; Liardo jr., invece, faceva “da corriere” della droga. Ma solo finché le “coordinatrici” del traffico di cocaina non scoprirono che aveva regalato “neve” per oltre 10mila euro: una leggerezza che gli costò la concreta espulsione dal “giro”.
 
E giusto intorno a Giuseppe Liardo ruota una delle due estorsioni nei confronti di altrettanti imprenditori dell’area gelese di cui la combriccola mafiosa è inoltre accusata: il titolare di un autolavaggio infatti fu costretto a congegnare la finta assunzione del ragazzo alle proprie dipendenze, per “coprirne” le attività illecite.

Numerosissimi sarebbero stati invece i danneggiamenti eseguiti dal clan di narcotrafficanti: auto incendiate, bombe e “avvertimenti” a suon di revolverate sono stati mezzi per riscuotere il “pizzo” da parte dei soggetti taglieggiati più recalcitranti, esigere il rispetto dei debiti da parte dei clienti e per “farsi largo” nell’affollato mercato locale degli stupefacenti.
 

Come illustrato dal procuratore aggiunto di Caltanissetta Lia Sava, quest’“impresa criminale a conduzione familiare”  era comunque tenuto sott’occhio da tempo: tra gli episodi oggetto d’attenzione, le fucilate esplose nell’ottobre 2015 contro la casa di Malvin Bodinaku e Carlo Cavaleri. Appunto, due dei tanti “cattivi pagatori” tra gli acquirenti di polvere bianca.  Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero