Il Dalai Lama non invitato ad Assisi: «Un peccato, sarei venuto volentieri»

Il Dalai Lama non invitato ad Assisi: «Un peccato, sarei venuto volentieri»
dal nostro inviato ASSISI Lo spirito di Assisi è sempre inclusivo, e tuttavia stavolta esclude il Tibet. A 30 anni esatti dall'intuizione profetica di Wojtyla, che per...

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dal nostro inviato
ASSISI Lo spirito di Assisi è sempre inclusivo, e tuttavia stavolta esclude il Tibet. A 30 anni esatti dall'intuizione profetica di Wojtyla, che per primo radunò nella cittadella umbra i maggiori leader religiosi del mondo compreso il Dalai Lama, viene celebrata, stamattina, una analoga iniziativa per la pace. Stavolta, però, l'uomo che incarna la guida spirituale del buddismo tibetano non sarà qui. Non è stato invitato. Il Dalai Lama, in questi giorni impegnato in un ciclo di conferenze tra Parigi e Strasburgo, fa sapere che «sarebbe venuto volentieri», ma che da nessuno, né da sant'Egidio promotore dell'iniziativa né dal Vaticano, è arrivato alcun invito. Disattenzione? Il monaco buddista Tseten Chhoekyapa, stretto collaboratore per l'Europa del Dalai Lama, ha liquidato la questione con poche parole e molta amarezza. «Le ragioni? chiedete le spiegazioni al Vaticano o a Sant'Egidio». Già, perché la presenza del Dalai Lama sarebbe stata una piuttosto ingombrante, mentre la diplomazia del Papa è impegnata in una trattativa delicatissima con il governo di Pechino per la normalizzazione dei rapporti con la Chiesa cattolica clandestina.


IL DOSSIER

Un dossier ingarbugliato aperto sin da quando Mao prese il potere e ruppe le relazioni con la Santa Sede, provocando, progressivamente un irrigidimento di posizioni, fino a persecuzioni vere e proprie contro i cattolici. Col tempo, la situazione si è allentata e adesso, con Papa Francesco, si intravedono concreti spiragli di distensione e di dialogo con il governo cinese. L'invito al Dalai Lama avrebbe verosimilmente fatto saltare il banco delle trattative. La realpolitik non poteva che prevalere, e così, oggi pomeriggio, ad Assisi, il Papa davanti alla tomba di san Francesco firmerà una dichiarazione di pace con islamici, scintoisti, ortodossi, anglicani, buddisti (giapponesi), ma non con quelli tibetani. Pazienza se i rapporti di Amnesty non lasciano dubbi sulle vessazioni che subisce questo popolo dall'occupazione cinese in poi. Cifre da far rabbrividire. Dal 2009 si sono dati fuoco per protesta duecento monaci. Amnesty parla di «genocidio tibetano», anche per via del milione di persone scomparse in decenni di occupazione. Il Dalai Lama in questi giorni ha lanciato un appello alle istituzioni europee, implorando maggiore tutela (provocando subito la reazione di Pechino che ha minacciato ritorsioni all'Ue) e chiedendo sostegno per un Tibet con un alto grado di autonomia all'interno della Cina. E invece ad Assisi la Comunità di Sant'Egidio ha invitato solo il venerabile Morikawa Koei, leader dei buddisti giapponesi, recentemente ricevuto anche in udienza da Papa Francesco. Eppure «..ho sempre accolto volentieri gli inviti dal Papa, a cominciare dal 1973», ha commentato il Dalai Lama. Paolo VI fu il primo a riceverlo in Vaticano. Nel 2014 a Roma fu organizzato un raduno di tutti i Nobel per la Pace ma, anche in quella occasione, per il Dalai Lama, non arrivò nessun invito. Papa Francesco però, qualche tempo dopo disse che lo ammirava molto, ma che non era abitudine per il protocollo di ricevere i capi di stato o i leader di quel livello quando partecipano a una riunione internazionale a Roma. «E comunque aveva aggiunto Francesco rispondendo ai cronisti - non è vero che non ho ricevuto il Dalai Lama perché ho paura della Cina. Noi siamo aperti e vogliamo la pace con tutti. Il governo cinese è educato, anche noi siamo educati. Facciamo le cose passo dopo passo. Loro sanno che sono disposto a riceverli o ad andare là, in Cina. Loro lo sanno». Pechino val bene una messa.

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Il Messaggero