Isis o non Isis. È questa la margherita che esponenti governativi, dei servizi di intelligence e i media del Bangladesh stanno sfogliando dopo lo shock suscitato dal...
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È stato necessario assistere ad una strage in un gettonato ristorante della classe medio-alta, la più grave mai registrata nella storia del Paese, perché il governo - che da sempre nega infiltrazioni della rete del terrore globale in Bangladesh - esaminasse con la dovuta attenzione la rivendicazione dell'azione da parte dei seguaci del 'Califfò Abu Bakr al-Baghdadi. Dal febbraio 2015, quando gli attacchi a intellettuali, blogger, stranieri ed esponenti di minoranze religiose si sono fatti sempre più frequenti, Isis e Al Qaida se li sono sistematicamente attribuiti, collezionandone oltre una ventina ciascuno. Fino alla strage nella Bakery del quartiere diplomatico di Gulshan-2, che l'Isis ha fatto sua assicurando attraverso Amaq, l'agenzia di stampa del 'Califfatò, che è stata opera di un commando bengalese di cui si conoscono anche i nomi (oltre che i volti) dei cinque componenti: Akash, Badhon, Bikash, Don e Ripon. Erano seguiti da tempo dalle forze dall'intelligence locale, ha fatto sapere l'ispettore generale della polizia del Bangladesh, AKM Shahidul Hoque. E stavolta all'interno del governo sono cominciate ad affiorare le prime divergenze. Fino a qualche mese fa la premier Sheikh Hasina ed i suoi ministri escludevano la presenza dell'Isis o di Al Qaida nel Paese, ripetendo che i colpevoli degli attentati non erano altro che i membri dell'opposizione guidata dal Partito nazionalista bengalese (Bnp) della 'begum' Zia Khaleda, ed in particolare il suo alleato Jamaat Islami.
Oggi il più radicale nel continuare a negare la presenza di miliziani riconducibili all'Isis nel Paese è stato il ministro dell'Interno, Asaduzzaman Khan, che ha insistito nel mantenere la questione entro i confini nazionali, attribuendo la responsabilità dell'attacco ad un gruppo jihadista indigeno, il Jumatul Mujaheddin Bangladesh. Gli autori del massacro sono «tutti istruiti, provenienti da famiglie benestanti, sono andati all'università e nessuno di loro ha mai frequentato una madrassa», ha dichiarato il ministro. E alla domanda sul perché sarebbero diventati militanti islamici, Khan ha risposto secco: «È diventata una moda». Non la pensa proprio così il numero due del ministero degli Esteri bengalese MD Shahidul Haque che oggi, presentando all'ambasciatore d'Italia Mario Palma le condoglianze per le vittime italiane, ha sostenuto che «la gente qui è scioccata e sorpresa perché si chiede come mai dei giovani possano essersi radicalizzati così tanto».
Haque, a differenza del ministro dell'Interno, non ha respinto categoricamente che possa essersi davvero trattato di un'azione coordinata dall'Isis.
Il Messaggero