Ieri nuova giornata di realizzi sui mercati: dopo lo scivolone di Tokyo (-5,4%), in Europa perdite medie tra il 2 e il 3%, con l’eccezione di Atene (-4,7%). Ancora in caduta...
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Tutto quel che sappiamo spinge anzi a ritenere che di fatto siamo in presenza di un vero e proprio terzo atto della crisi mondiale. Il primo, esploso a fine 2008, era la crisi di un modello americano ma divenuto mondiale, di intermediazione bancaria ad alta leva finanziaria e basso capitale. Il secondo, avvampato nel 2011 e che ci ha travolto come Italia, è stata la crisi della sostenibilità del debito sovrano europeo. Il terzo atto è una vera e propria crisi globale, perché nasce dalle politiche monetarie divergenti, si abbatte sui paesi emergenti, si somma alla difficile transizione cinese, infine rimbalza sulla finanza e sulle banche dei paesi avanzati.
Per qualche tempo ancora – nessuno sa quanto – c’è la possibilità di introdurre rimedi adeguati, tali da fermare il panic selling che spinge tutti i maggiori investitori a uscire sia dall’azionario sia dall’obbligazionario, e a tenere parcheggiate enormi liquidità nei fondi monetari.
Non sarà facile, ma bisogna provarci. Intanto la conseguenza è che torniamo a essere più esposti di altri – noi come la Grecia e il Portogallo e la Spagna – per le difficoltà diversamente ancora accumulate nei sistemi bancari di ciascuno. È però una conseguenza, non una causa. Va detto senza autoassolverci per i guai e i ritardi di casa nostra, ma è l’intero sistema bancario dei paesi avanzati sotto schiaffo.
E, se è così, i rimedi devono venire da una modifica dei meccanismi basilari che determinano l’intreccio perverso tra politiche monetarie, esposizione finanziaria delle economie avanzate e crisi degli emergenti. Il che chiama in causa insieme la Federal Reserve, la Bce e le autorità cinesi. In un mondo di misure divergenti tra grandi macro-aree i guai aumentano, credere di salvarsi ognuno a casa propria è un errore. In questa pagina cerchiamo di interpretare i diversi fattori della crisi, e insieme i possibili e difficili rimedi.
E dunque riconosciamolo: le banche, europee e americane, sono l’epicentro del fallimento di un Qe che ha inondato i mercato di una liquidità illusoria, che a noi serve sugli spread del debito pubblico ma che non sostiene la crescita. Purtroppo, i nostri crediti deteriorati in pancia alle banche e il nostro ritardo nell’ammettere e affrontare il problema ci rendono bersaglio prediletto dei ribassi. Potevamo e dovevamo pensarci nel 2011 e 2012, ma chi lo disse allora – ero tra quei pochi – venne considerato un pessimista. Ma ora il problema è mondiale: non a caso tutte le banche centrali sono in allarme, al punto da fare profonde riflessioni sulla politica dei tassi sin qui seguita. Ultimo consiglio: in Europa sarebbe da statisti piantarla di attaccarci a vicenda, perché tra referendum britannico, elezioni spagnole, nuova tensione sulla Grecia e Schengen che salta attiriamo solo su di noi ulteriore furia ribassista. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero