A Pacora in Caldas, nel nordovest della Colombia, erano in molti a sapere, ma nessuno ha mai parlato. Solo una telefonata anonima alla polizia, pochi giorni fa, ha interrotto...
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Nella segnalazione telefonica si parlava di gemiti e lamenti provenire da una cantina. Quando sono arrivati sul posto, gli agenti hanno capito perché, trovando una situazione ai confini della realtà, enormemente peggiore di quella che avevano immaginato. Sporche e abbrutite, confinate in una stanza chiusa a chiave, lurida, inabitabile e cosparsa di escrementi, c'erano due sorelle di 32 e 34 anni, entrambe con disabilità mentali e cognitive e che non sapevano parlare: riuscivano a comunicare solo emettendo suoni indistinti. A occuparsi di loro, che spesso venivano tenute legate, c'era solo il nonno 90enne che era stato inaricato di non aprire la porta a nessuno: un ordine impartito dalla madre delle due donne prima di partire per le vacanze. «La visione più sconvolgente - ha raccontato Jazmin Gomez Agudelo, rappresentante delle autorità locali - è stata quando siamo entrati e abbiamo visto una di loro con un mattone in bocca: come abbiamo saputo in seguito, mangiavano spesso mattoni e pezzi di legno, così come i propri escrementi».
Gli abitanti del posto si sono detti scioccati nell'apprendere che i loro vicini di casa avessero tenuto in schiavitù le loro figlie per oltre trent'anni: resta da capire quanti di loro, pur conoscendo la situazione, non abbiano mai parlato per paura o convenienza, rendendosi complici di quell'orrore. Le due donne sono state ovviamente portate in ospedale per le prime cure e per l'avvio di un processo di riabilitazione e reinserimento che si annuncia lungo e difficile. Per la loro madre, al ritorno dalle vacanze, si prospetta un'incriminazione per tentato omicidio: polizia e magistratura stanno infatti indagando a fondo e raccogliendo documentazione per colpire tutti i responsabili di questa vicenda disumana. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero