ll giallo Clinton/Non possiamo permetterci una Casa Bianca convalescente

ll giallo Clinton/Non possiamo permetterci una Casa Bianca convalescente
La malattia di Hillary Clinton, la candidata che fin qui aveva la maggiori probabilità di entrare alla Casa Bianca, è un grave handicap per gli Stati Uniti, la...

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La malattia di Hillary Clinton, la candidata che fin qui aveva la maggiori probabilità di entrare alla Casa Bianca, è un grave handicap per gli Stati Uniti, la superpotenza mondiale che deve far fronte a una serie di crisi nei diversi teatri regionali a cominciare dal Medio Oriente. Ed è un colpo alla fiducia degli americani verso le istituzioni perché la reticenza sulla salute del candidato presidenziale toglie altra credibilità ad una Hillary già scossa dal caso delle email privatizzate. 


La verità e la trasparenza sono negli Stati Uniti i pilastri dell’etica pubblica nel rapporto tra l’elettorato e quei politici che aspirano alle alte responsabilità nazionali. È vero che in passato vi sono stati molti episodi di manipolazione della realtà da parte di Presidenti, ma non va dimenticato che l’unico impeachment della storia, quello del Presidente Nixon, prese avvio dalle sue menzogne. Oggi i grandi giornali americani si chiedono perché mai la candidata Clinton abbia tenuta nascosta per giorni la polmonite, ultimo episodio di una serie di disavventure di salute sempre pubblicamente sottostimate. 

Al momento nessuno sa cosa accadrà nella corsa alla Casa Bianca, ma è certo che le chance di vittoria di Trump migliorano. Hillary, donna ostinata che da anni persegue il sogno presidenziale, difficilmente rinunzierà alla candidatura che ha coltivato negli anni di Obama. La decisione che assumerà non dipende da una regola costituzionale ma esclusivamente dalla sua volontà e dalla pressione che vorrà o non vorrà esercitare il partito Democratico attraverso il Comitato nazionale.

Nel passato non è mai accaduto che il candidato presidenziale rinunciasse a poca distanza dal voto. Qualora Hillary decidesse di tirarsi indietro, è improbabile che venga sostituita dal secondo arrivato, Bernie Sanders, che ha un’immagine troppo di sinistra, o dal candidato vicepresidente Tim Kaine che non ha statura nazionale. Potrebbero invece avere qualche probabilità di nomina i Democratici con esperienza istituzionale quali l’attuale vice-presidente Joe Biden, e il segretario di Stato John Kerry, apprezzato dai partner europei per le doti diplomatiche. 

Non è invece ipotizzabile un rinvio del voto popolare che si terrà l’8 novembre. La data fissa del martedì che segue il primo lunedì di novembre è iscritta nella Costituzione ed è stata sempre rispettata quali che fossero gli eventi straordinari: guerre interne ed estere, crisi economiche e sociali, trasformazioni di partiti e infortuni dei candidati. Diversamente dagli Stati europei in cui le elezioni politiche sono decise da qualche organo istituzionale, le elezioni per il Presidente, il Congresso, i Governatori e le assemblee degli Stati non sono disponibili in America a nessuna persona, quale garanzia di un imparziale processo elettorale. 

Ma la questione che si è aperta con la precaria salute della Clinton non riguarda tanto le regole di quel che si deve fare, quanto le ripercussioni che si potranno produrre sulla scena nazionale e internazionale. L’America sta perdendo autorevolezza anche sulla scena internazionale: le presidenziali 2016 erano già giudicate le più bizzarre del secolo perché entrambi i candidati, non solo l’improbabile Trump (il cui profilo personale conosciamo ancor meno di quello della sua avversaria) ma la stessa Democratica Clinton, godevano di scarso favore popolare all’interno e di scarsa considerazione all’estero. Con quest’ultimo episodio la crisi politica è precipitata.


Quando si vota per il presidente degli Stati Uniti, è tutto il mondo che in qualche modo è coinvolto, compresi noi italiani che abbiamo uno storico rapporto di amicizia e collaborazione. Le preoccupazioni per le crisi politiche e militari stanno crescendo allo stesso modo delle incertezze dei mercati nell’era globalizzata. Qualunque sia l’atteggiamento della Clinton, dobbiamo perciò auspicare che le decisioni vengano prese il più rapidamente possibile ponendo fine alla catena di titubanze e reticenze che hanno dominato finora le presidenziali. E che vi sia un candidato Democratico - la Clinton o altri - capace di assumere provvedimenti forti e tempestivi a beneficio di tutto l’occidente.

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Il Messaggero