Come ogni mattina, giovedì Nicole Engler ha parcheggiato davanti al centro medico di Roseburg, nell'Oregon, in cui lavora come infermiera, ha spento il motore, è...
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Quando è uscita dal lavoro, alle 4 del pomeriggio, l'ha trovata svenuta e cianotica: aveva passato più di sette ore intrappolata in un abitacolo che aveva superato i 40 gradi di temperatura. Sotto choc e nella più completa disperazione, Nicole ha portato subito la figlia nel centro medico, dove hanno tentato di rianimarla in tutti i modi, ma ormai era troppo tardi: al Mercy Medical Center la piccola è stata dichiarata morta.
Nicole, che ha 38 anni, è stata ora portata nel carcere della contea di Douglas con l'accusa di omicidio colposo di secondo grado: se condannata, rischia se anni di carcere. Ma la sua pena ha già cominciato a scontarla, ed è una pena che la accompagnerà per tutta la vita: fino all'ultimo dei giorni rivivrà il momento in cui ha chiuso l'auto ed è andata via, chiedendosi un milione di volte perché la sua mente sl'abbia abbandonata, senza trovare mai una risposta. Una condanna, la sua, che purtroppo condivide con moltissimi genitori di bimbi morti in circostanze analoghe: secondo alcune statistiche, in vent'anni sono state 742 le giovanissime vittime di colpi di calore all'interno di un veicolo (quest'anno sono già 17), e nel 54% dei casi si è trattato di bimbi che, come Remington, erano stati lasciati nella vettura inconsapevolmente da chi li accompagnava. Quasi sempre i colpevoli erano persone con un alto livello di stress e di stanchezza fisica o persone che avevano subìto dei cambiamenti nella routine quotidiana. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero