I fratelli Kouachi come i Tsarnaev della maratona di Boston: le identità corrotte (e corruttibili) dei jihadisti urbani

I fratelli Kouachi come i Tsarnaev della maratona di Boston: le identità corrotte (e corruttibili) dei jihadisti urbani
C’è un filo sottile che lega un processo che si sta per svolgere negli Stati Uniti in seguito ai terribili fatti accaduti in occasione della maratona di Boston, nell’aprile...

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C’è un filo sottile che lega un processo che si sta per svolgere negli Stati Uniti in seguito ai terribili fatti accaduti in occasione della maratona di Boston, nell’aprile 2013, e gli eventi che stanno seguendo in queste ore il massacro avvenuto nella redazione del settimanale Charlie Hebdo a Parigi.


Come nella capitale del Massachusetts quasi due anni fa, anche nell’11esimo arrondissement di Parigi ad agire sarebbero stati due fratelli. Ma le somiglianze tra i fratelli Cherif e Said Kouachi e i fratelli Dzochar e Tamerlan Tsarnaev sembrerebbero finire qui.

Molto più giovani degli omologhi francesi, i Tsarnaev sono nati negli anni ‘90 in due diverse repubbliche dell’ex Unione Sovietica, sono per metà ceceni e per metà Avari, e con la loro famiglia, che li ha sempre difesi, sono immigrati negli Stati Uniti nel 2002 come rifugiati. I fratelli Kouachi, di 32 e 34 anni, sono invece nati a Parigi da genitori algerini di cui sono rimasti orfani quando erano ancora molto piccoli.



Dzochar Tsarnaev era un bravo ragazzo, benvoluto dagli amici, amante della musica e promettente studente iscritto all’Università del Massachusetts Dartmouth. Cherif Kouachi ha invece un passato di piccoli furti in età giovanile e un arresto nel 2008 per il ruolo svolto in un’organizzazione che inviava combattenti in Iraq, a seguito del quale è stato condannato a 3 anni di prigione, di cui 18 con la condizionale. Fonti della polizia francese riportate dall'Ansa descrivono i fratelli Kouachi come “piccoli delinquenti che si sono radicalizzati”.



I fratelli Tsarnaev non hanno mai combattuto all’estero. I fratelli Kouachi, secondo alcune fonti riportate dall’Associated Press, avrebbero combattuto in Siria e sarebbero collegati alla rete yemenita di Al-Qaeda che ieri, quasi in contemporanea con la strage di Charlie Hebdo, si sarebbe resa colpevole di un attentato in cui sono rimaste uccise 40 persone davanti a una scuola di polizia nella a Sanaa.

Percorsi apparentemente diversi che portano entrambi, però, a una conclusione terribile, alla “decisione” di commettere un gesto folle, estremo in nome di una religione o, meglio, di una specifica interpretazione di una religione che sembra aver dato a questi quattro ragazzi una identità che prima non possedevano, una nuova appartenenza che, probabilmente, non erano riusciti ad avere (o conquistare) nei paesi che li hanno accolti o dove sono nati.



È in questo che i Kouachi e i Tsarnaev tornano a somigliarsi. Percorsi di integrazione difficili, una provenienza religiosa che, però nei paesi in cui si trovano a vivere, assume connotazioni diverse da quelle originarie, la sensazione di non appartenere (e di non essere accettati) a nessun luogo. Come Douglas McCain e Troy Kastigar, i due amici di New Hope, sobborgo di Minneapolis, cresciuti insieme sui campi di basket e morti il primo in Siria e il secondo in Somalia. Due foreign fighters che, forse, se fossero sopravvissuti sarebbero tornati a casa, forti del loro addestramento para-militare, per compiere attentati da “lupi solitari”. Esattamente come i fratelli Kouachi in quella strada dell’11 arrondissement di Parigi.

“Affascinati” dalla retorica dell’islam fondamentalista. “Accolti” da un sistema di reclutamento che fa dell’ascolto strategico e della comprensione del disagio, il proprio elemento di forza. Colpiti da un immaginario di ingiustizia nel quale sentono di riconoscersi. Storie che portano Cherif Kouachi – secondo quanto scritto dal New York Times già nel 2005 – ad abbracciare la lotta jihadista dopo aver visto le torture del carcere di Abu Ghraib (e nonostante, all’epoca, frequentasse diverse fidanzate , fumasse e bevesse alcool) e Dzochar Tsarnaev a ribellarsi alle immagini delle “violenze” statunitensi contro i civili in Iraq e Afghanistan.



I Kouachi, i Tsarnaev, così come Douglas McCain, Troy Kastigar e tanti altri ancora sono la manifestazione più violenta e profondamente manipolata del disagio delle seconde generazioni, degli immigrati che vivono ai margini delle società nelle grandi città in crisi economica. Sulle loro identità confuse si costruisce la retorica dei disseminatori di Isis e del fondamentalismo islamico, la retorica che crea i foreign fighters e i lupi solitari, che uccide maratoneti e vignettisti, che non fa distinzione tra cristiani, ebrei e islamici e che colpisce per terrorizzare.

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Il Messaggero