«Cercasi commessa che parli bene l'italiano». Diventa un caso il cartello di una profumeria

«Cercasi commessa che parli bene l'italiano». Diventa un caso il cartello di una profumeria
Cercasi disperatamente lingua italiana. Se possibile, corretta. Tra balocchi e profumi l’ultimo trend sembra proprio questo: soggetto, verbo e predicato. Una skill...

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Cercasi disperatamente lingua italiana. Se possibile, corretta. Tra balocchi e profumi l’ultimo trend sembra proprio questo: soggetto, verbo e predicato. Una skill evidentemente trascurata, se una nota profumeria del centro di Treviso ho deciso di sottolineare il concetto con apposito cartello. “Cerchiamo neo diplomato o laureato per stage retribuito da agosto 2018. Richiesta ottima conoscenza della lingua italiana. Di primo acchito si pensa ad un errore: vorranno dire inglese, per poter interagire meglio con i turisti. E invece no: si tratta proprio della nostra lingua madre, evidentemente appannata da pochissimi risciacqui in Arno.


«Purtroppo si presentano molte ragazze brave e con grande predisposizione per l’estetica e la vendita di cosmetici che però hanno grosse lacune linguistiche» conferma il personale. Si tratta soprattutto di candidate provenienti dall’Est che hanno dimestichezza con beauty farm e trattamenti di bellezza ma un italiano zoppicante. «Ma non è solo questo - riprendono dietro il bancone - ci sono molte ragazze che si esprimono prevalentemente in dialetto, e gli acquirenti che provengono da fuori città non capiscono». Insomma passino le straniere che si muovono incerte nei meandri della lingua di Dante, ma il problema si pone soprattutto per le autoctone che scambiano il luogo di lavoro per il salotto di casa, esprimendosi nella favella gergale e non nell’idioma ufficiale. Per lavorare il profumeria la bella presenza, la disinvoltura tra make-up e cura di sé restano un requisito importante. Almeno quanto la capacità di esprimersi in italiano corretto, però. Segno di una rinnovata attenzione alla forma o di un inevitabile scadimento del sistema scolastico? Ci sono due tipi di questioni da affrontare: in una società globale anche la lingua si imbastardisce inevitabilmente. 

«L’idioma parlato è per propria natura fluido - spiega Fortunata Pizzoferro, psicologa e head hunter - e soprattutto nel linguaggio commerciale soggetto ad evoluzione. Tuttavia con gli acquisti on line e l’automazione dei processi la figura della commessa deve tendere ad una maggiore professionalizzazione sennò è percepita come inutile dal datore di lavoro e dal cliente».

Creatività linguistica entro certi limiti, dunque. Il personale racconta di traslazioni anche umoristiche dal latinoamericano all’italiano, come l’ombretto che diventa sombreadore. Le ragazze provenienti dall’Est, hanno anche qualche problema in più, essendo di ceppo linguistico slavo. Per le aspiranti profumiere locali, però, la questione cambia. Bene fanno dunque le aziende a mettere i puntini sulle i, o la richiesta sa un tantino troppo d’elite? 
«Francamente non ci vedo nulla di sconcertante. La proposta di stage è diretta a ragazze come minimo diplomate - conclude Pizzoferro - E con un diploma e una laurea la conoscenza di un italiano impeccabile dovremmo almeno darla per scontata».


Da questo assunto parte la catena di prodotti per il make-up e il benessere: oggi più che mai anche per vendere un profumo, commercializzare un ombretto o consigliare una crema per mani la lingua è un fattore di distinzione da non sottovalutare. Non si richiede certo un’accademica della Crusca, ma il minimo sindacale di grammatica e sintassi, quello sì. Cosa, evidentemente non scontata.  Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero