Centrosinistra, lo psicodramma per la premiership che non c’è più

Gentiloni e Renzi (ansa)
«Serve un candidato premier della coalizione». «Anzi, no, non è il caso». «Ognuno corra con il proprio frontman e poi dopo le elezioni si...

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«Serve un candidato premier della coalizione». «Anzi, no, non è il caso». «Ognuno corra con il proprio frontman e poi dopo le elezioni si vede». Il Pd, nonostante sia con Ettore Rosato il padre della nuova legge elettorale, non è ancora riuscito ad adattarsi al meccanismo introdotto dal Rosatellum. È vero, con una quota minima di maggioritario non c’è più bisogno di indicare un candidato premier della coalizione. Eppure, si litiga ancora su questo.


Matteo Renzi, come Dario Franceschini, sta provando a spiegare che le cose sono cambiate, che non serve più accapigliarsi sul nome di chi potenzialmente dovrà andare a palazzo Chigi. Ma ecco che lo stesso Rosato spende il nome di Paolo Gentiloni e c’è chi fa quello di Marco Minniti. Entrambi considerati capaci di unire il centrosinistra, al contrario di Renzi indicato come leader divisivo.

Un equivoco? C’è chi scommette che l’obiettivo in realtà sia proprio quello di chiedere al segretario del Pd un definitivo passo indietro. E probabilmente non sbaglia. Perché a Bersani e D’Alema, ma anche a Pisapia, non sembra bastare la possibilità di correre con un proprio candidato premier (probabilmente Piero Grasso), vorrebbero che Renzi si togliesse definitivamente di mezzo. La ragione: «Con lui si perde».

Il problema (per questa sinistra) è che il segretario del Pd è stato consacrato da due milioni di militanti dem alle primarie dell’aprile scorso e che non ha decisamente un carattere arrendevole. Per farlo fuori servirebbe una congiura stile Prima Repubblica. E al momento mancano i congiurati. Tutto dipenderà da ciò che diranno nelle prossime ore Walter Veltroni (atteso in serata a Cartabianca su Rai3) e Romano Prodi, per ora silente. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero