Il presidente catalano Carles Puigdemont ha accusato il premier spagnolo Mariano Rajoy di avere portato contro le istituzioni catalane «il peggiore attacco» da quando...
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La Catalogna non si piega così al «colpo di stato» di Madrid: quasi mezzo milione di persone si sono di nuovo riversate in piazza nel cuore di Barcellona per denunciare il duro commissariamento delle istituzioni catalane annunciato oggi da Madrid e chiedere la liberazione deìdue Jordì, i «detenuti politici» Jordi Sanchez e Jordi Cuixart. Una marea umana che si è snodata fra Gran Via e Passeig de Gracia, ormai con Pla‡a Catalunya i luoghi altamente simbolici della "rivoluzione catalana", in un oceano di bandiere stellate della "Repubblica" e di cartelli verdi che chiedevano «Llibertat» per i due Jordì. La Catalogna ribelle aveva risposto con una sonora "cacerolada" spontanea di protesta, dai Pirenei alla Costa Brava, all'annuncio in tv del duro giro di vite contro Barcellona del premier spagnolo Mariano Rajoy. Il presidente Carles Puigdemont, che in un primo tempo non aveva previsto di partecipare per neutralità istituzionale, dopo il blitz del governo di Madrid si è mescolato alla folla e ha guidato il corteo. Il suo arrivo è stato accolto da applausi e grida di incoraggiamento.
Puigdemont, ormai molto popolare in Catalogna, è sempre più vicino ad una incriminazione per 'ribellionè da parte della procura dello Stato spagnolo, che potrebbe ordinare il suo arresto. Fra la folla tanta collera e anche molta preoccupazione per la piega presa dagli avvenimenti. «Ci trattano come una colonia» protesta Cristina, una "Estelada" in mano. «Cosi rompono la democrazia» aggiunge Josep, un "emigrato" negli Usa. Folla di politici nel corteo. Accanto a Puigdemont il vicepresidente Oriol Junqueras, praticamente tutto il Govern, la presidente del Parlament Carme Forcadell, l'ex President Artur Mas. Tutti indagati dai tribunali spagnoli. Tutti hanno espressioni gravi. Puigdemont ha il volto chiuso. Come il sindaco di Barcellona Ada Colau, che ha tentato invano di portare avanti una opzione di mediazione fra Rajoy e Puigdemont. «È una giornata di involuzione democratica. La peggiore da 40 anni. Da Rajoy è venuta una risposta autoritaria, è un attacco ai diritti fondamentali e alla base stessa della democrazia» accusa. La folla grida «Llibertat! Llibertat» e canta l'inno catalano Els Segadors. Tutti ormai lo sanno a memoria. «Lo Stato vuole uccidere il nostro sistema di governo centenario. Ma non riuscirà. Noi lo impediremo!» tuona dal palco il portavoce dell' Anc di Jordi Sanchez, da lunedì in prigione per sedizione con Jordi Cuixart per le manifestazioni pacifiche del 20 settembre. La marea umana canta «No Tenc Por», «Non Ho Paura», il motto forgiato in reazione agli attentati jihadisti di agosto e ora rivolto al potere centrale di Madrid.
«Se c'è qualcuno che ha tentato un golpe, è stato il governo regionale catalano», ha risposto il ministro degli Esteri spagnolo, Alfonso Dastis, negand che il ricorso all'articolo 155 in Catalogna possa configurarsi come un golpe. «Quello che stiamo facendo è seguire strettamente i dettami della costituzione», ha affermato Dastis parlando alla Bbc. «Le altre democrazie e i partner dell'Unione Europea, non accetterebbero che tali decisioni vengano prese da una parte del paese», ha sottolineato, riferendosi alla sfida indipendentista catalana. Dastis ha infine dichiarato che «molte» delle immagini delle presunte violenze della polizia spagnola il giorno del referendum secessionista erano in realtà dei falsi.
Intanto arrivano le reazioni dalla società civile e dal mondo dello sport.
Il Messaggero