Il camorrista più pericoloso è Francesco Schiavone, alias Sandokan, che «comanda ancora, anche dal 41 bis». Così, in una intervista alla Tgr...
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Caterino ricorda cosa lo ha spinto a diventare un camorrista: «Da noi si è sempre respirata aria di camorra. Già a dieci anni...eravamo affascinati da come venivano venerati, da come si vestivano, dalle macchine che avevano. I grandi imprenditori e li professionisti le veneravano e le ossequiavano queste persone». «Per me - dice ancora l'ex luogotenente di Michele Zagaria - essere un camorrista significava che tutto diventava facile. Si guadagnava rispetto, tutte le porte erano aperte, i professionisti erano a tua disposizione».
Caterino sottolinea, con le sue parole, anche il livello di pervasività che il clan dei Casalesi aveva nel Casertano: «Noi risolvevamo tutti i problemi, - dice - vertenze sindacali, vertenze matrimoniali, qualsiasi problema noi lo risolvevamo in cinque minuti». Poi, traccia le differenze con la camorra napoletana: «Noi eravamo più molto più riservati, più umili, più seri, mentre a Napoli sono più chiassosi, diciamo alla Setola (il killer Giuseppe Setola, ndr)». Infine Massimiliano Caterino parla dei viaggi che l'ex primula rossa del clan dei Casalesi faceva durante la latitanza, durata quasi 16 anni: «Andava fuori Italia, - dice - in Europa, in America, in Australia» grazie «ai documenti che gli venivano forniti dai professionisti», a cui «noi cambiavamo la fotografia». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero