Si erano già strette la mano le due ragazze protagoniste del video-choc diventato virale su Facebook e poi rimosso. La «bulletta» e la vittima coetanea dopo...
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Dopo la diffusione del video la vittima è tornata a scuola accompagnata dai genitori, che hanno incontrato il preside per parlare di quanto accaduto. Oggi è assente ma i vertici dell'istituto erano già stati informati. Diversamente la «bulletta» non è ancora tornata in aula. La ragazzina, già seguita dai servizi sociali del Comune, iscritta all'alberghiero da poco tempo, ha probabilmente preferito non varcare la soglia dell'istituto a causa delle dimensioni assunte dal caso, ma nei prossimi giorni - confida il preside - tornerà tra i banchi.
«Mi ha chiesto scusa e l'ho perdonata. Ora spero che i miei compagni di classe mi stiano vicino». Sono le parole della ragazzina aggredita dalla «bulletta» a Muravera, in provincia di Cagliari, pubblicate oggi dal quotidiano L'Unione Sarda. Il video dell'episodio di bullismo, girato da un compagno di classe mentre tutti gli altri stavano a guardare senza intervenire, una volta pubblicato su Facebook ha totalizzato quasi 4 milioni di visualizzazioni prima di essere bloccato dallo stesso social network.
All'origine dell'aggressione ci sarebbe una foto pubblicata sempre su Facebook. La «bulletta» l'ha attesa fuori dall'istituto per chiarire e l'ha aggredita schiaffeggiandola. «Ho sopportato gli schiaffi, anche se erano forti - racconta la ragazzina all'Unione Sarda - ho trattenuto le lacrime per non farmi vedere piangere ma non mi sono inginocchiata, come lei mi ordinava. Le ho detto al telefono quando mi ha chiamata per chiedere scusa: poteva picchiarmi, farmi di tutto, ma in ginocchio no, mai l'avrei fatto».
Dopo l'aggressione è tornata a casa. «Ero veramente distrutta, pensavo di non uscire più», poi lancia un appello: «Ritornerò a scuola, a testa alta. Sto raccontando tutto per far capire che le vittime di bullismo stanno molto male: chiunque patisca questa sofferenza parli, dica tutto ai genitori e alle forze dell'ordine: c'è chi si uccide, e invece bisogna denunciare perché c'è chi ci aiuta». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero