«Sono arrivati pazienti con schegge di metallo conficcate negli organi e in altre parti del corpo. Non avevo mai visto niente del genere. Quello che è accaduto non ha...
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«Sono entrato in sala operatoria alle 8 del mattino e non sono più uscito fino alle 2 di notte - racconta - è stato difficile gestire la contaminazione tra schegge, intossicazioni, ustioni. La maggior parte dei feriti è arrivata già sedata, dopo il damage control fatto a Bruxelles, e chi era sveglio non ha raccontato nulla. Sono pazienti in condizioni critiche, a rischio della vita, ma siamo soddisfatti di come stanno andando gli interventi».
A parte le ferite, in che condizioni psicologiche li ha trovati?
«Sono pazienti delicatissimi, instabili, difficili. Hanno bisogno di una gestione psicologica avanzata. Per questo li hanno mandati qui. Abbiamo finito i posti in terapia intensiva e abbiamo dovuto rimandare interventi già programmati, anche oncologici. Hanno visto la morte in faccia. Perfino alcuni operatori sono sotto choc per l'orrore».
Resteranno ricoverati per molto tempo?
«Per ora facciamo alta chirurgia. Si tratterà di ospedalizzazioni lunghe e complesse. Di certo, non cose che si risolvono in una settimana».
Ha visto arrivare qualcuno in cerca di un parente disperso?
«No. In compenso i miei genitori mi hanno cercato tutto il giorno e si sono preoccupati sul serio: mi chiamavano al telefono, ma mentre operavo avevo il cellulare spento. Temevano fossi rimasto coinvolto in uno degli attacchi. E pensare che io quel giorno non ero neppure di turno. È stata una collega a chiedermi il cambio. Mi ha detto: tanto di martedì non succede mai nulla».
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Il Messaggero