L'ultimo colpo di teatro lo ha messo a segno scomparendo d'improvviso dalla scena, come un illusionista consumato. Boris Johnson l'istrione, dopo aver vinto il...
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Una candidata che incarna «stabilità», come lei stessa sottolinea, e si propone quale garanzia di «unità», fra i Tory e nel Paese, dopo le spaccature del voto e il caos che ne è seguito: un caos che non sembra aver risparmiato niente e nessuno, inclusa l'opposizione laburista di un sempre più traballante Jeremy Corbyn. Il contrasto d'immagine non può essere più stridente: tanto l'ex sindaco di Londra appariva eccentrico e scapigliato, tanto la May è grigia, ma affidabile agli occhi dell'establishment come dell'elettorato attento all'ordine costituito. «Sono Theresa May e penso di essere la persona migliore per diventare primo ministro di questo Paese», ha proclamato oggi senza giri di parole. «Io non faccio show, lavoro», ha aggiunto con una stoccata implicita a BoJo. Veterana del governo, 60 anni, la titolare dell'Home Office dovrà vedersela soprattutto con il collega Michael Gove, ministro della Giustizia, di una dozzina d'anni più giovane, che - altra sorpresa dell'ultim'ora - ha rinnegato il tandem con Johnson, decisivo nella campagna referendaria, si è rimangiato le innumerevoli smentite di ogni ambizione di premiership e ha presentato la sua sfida in questi termini: «Sono giunto alla conclusione, con riluttanza ma con fermezza, che malgrado le sue grandi qualità Boris non è capace di unire un team e guidare il partito e il Paese nel modo in cui avrei sperato». Amen.
Poche parole per assestare quella che Norman Smith, commentatore della Bbc, ha definito «una pugnalata». Ora non resta che attendere il responso degli iscritti di casa Tory, previsto entro il 9 settembre. Poi sarà il tempo di avviare i difficili negoziati con l'Ue. Negoziati che May è impegnata a condurre con l'obiettivo di spuntare «le migliori condizioni possibili di uscita», evocando l'obiettivo caro ai brexiters di ridurre l'immigrazione «a livelli accettabili», ma al contempo evidenziando la necessità di trattare con gli altri Paesi europei «sulla libertà di movimento» per garantire il mantenimento dell'accesso del regno al lucroso mercato unico. E che Gove ha invece detto di voler impostare con «durezza e attenzione». In sostanza l'attivazione dell'articolo 50 del trattato di Lisbona, per formalizzare il divorzio, è rinviata comunque di alcuni mesi: di fatto al 2017. Ma intanto bisogna vedere chi vincerà.
In lizza ci sono anche tre outsider: l'unico europeista convinto del lotto, il giovane ministro gallese del Lavoro, Stephen Crabb, e due reduci del fronte Leave, l'ex ministro della Difesa Liam Fox e la sottosegretaria al Tesoro Andrea Leadsom.
Il Messaggero