È psicodramma nel Labour dopo il voto di sfiducia a valanga del gruppo parlamentare (172 a 40) con cui si è consumata oggi - dopo una gestazione di 9 mesi - la...
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Una situazione di cui i laburisti, in crisi di consenso da anni, avrebbero potuto cercare di approfittare. Se non avessero preferito decidere di regolare piuttosto conti aperti fra loro, in una frattura che è anche fra la nomenklatura e la base. A Corbyn, 67 anni, irriducibile deputato socialista del quartiere londinese di Islington, chiamato a sorpresa al timone della barca laburista dopo il disastro elettorale del maggio 2015 con oltre il 60% dei consensi dei militanti (un record), i colonnelli della Camera dei Comuni e i circa 20 componenti del governo ombra che lo hanno scaricato contestano lo scarso appeal nell'elettorato più vasto. E la campagna referendaria «troppo tiepida» condotta a loro giudizio in favore dell'Ue (Corbyn ha un passato euroscettico contro «l'Unione dei mercati e delle banche»). Ma in realtà la posta è in gioco è un'altra: le dimissioni di Cameron potrebbero aprire la strada a elezioni politiche anticipate nel regno e gli ammutinati di Westminster non credono di poterle vincere con Corbyn. Alcuni, anzi, a cominciare dagli orfani "lib-lab" di Tony Blair, non le vorrebbero nemmeno vincere, quand'anche fosse possibile, con una piattaforma di sinistra pacifista e anti-austerity. Ma se il "compagno Jeremy" è assediato nel palazzo, i suoi avversari sono assediati dalla piazza. Almeno da quella piazza che sventola ancora le bandiere rosse e che - dagli attivisti del gruppo Momentum a tutte le maggiori sigle sindacali - continuano a sostenere il leader. In migliaia si sono radunati dinanzi a Westminster contro «i traditori» e Corbyn, affiancato da un pugno di fedelissimi, ha promesso loro che non intende mollare. «È un fatto di democrazia, tradirei chi mi ha eletto», ha detto e ripetuto sfidando i contestatori.
La giornata ha avuto toni roventi nella riunione del gruppo parlamentare.
Il Messaggero