Brexit, niente più visti facili ai cittadini Ue

Brexit, niente più visti facili ai cittadini Ue
Rassicurazioni, ma fino a un certo punto. Se il futuro della Brexit è ancora vago - fra l'ipotesi hard di un addio senz'accordo (no deal), quella soft di una...

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Rassicurazioni, ma fino a un certo punto. Se il futuro della Brexit è ancora vago - fra l'ipotesi hard di un addio senz'accordo (no deal), quella soft di una separazione amichevole e quella meno probabile di tutte d'un ripensamento in extremis - incerto è anche il destino dei cittadini Ue che guardano alla Gran Bretagna come a un approdo: almeno nel medio e lungo termine. L'ultimo messaggio arriva oggi da un rapporto del Migration Advisory Committee, organo consultivo del ministero dell'Interno di Londra, che raccomanda di archiviare ogni idea di un visto privilegiato generalizzato per gli europei continentali che busseranno alla porta del Regno dopo il divorzio e dopo il periodo di transizione fissato dalle intese preliminari sino alla fine del 2020.


Non si tratta d'una marcia indietro sull'impegno di garantire i diritti attuali ai cittadini europei che già risiedono sull'isola o vi sbarcheranno entro il 2020. Diritti che Theresa May ha al contrario ribadito oggi stesso di voler rispettare incontrando a Downing Street il plenipotenziario di Angela Merkel a Strasburgo, il capogruppo tedesco dei Popolari, Manfred Weber, prima del delicato vertice di Salisburgo. Ma di sicuro è una conferma del fatto che, a transizione conclusa, Brexit significherà anche fine di un'automatica libertà di movimento delle persone attraverso il confine segnato dalla Manica.

La raccomandazione del comitato mira a proteggere l'obiettivo «politico» dichiarato del governo conservatore di riportare «sotto controllo» l'immigrazione nel Paese. Obiettivo che proprio May - da ministro dell'Interno prima e da premier poi - ha associato all'idea di ridurre sotto i 100.000 il saldo attivo degli ingressi annuali, contro i 282.000 di un 2017 nel quale il calo parziale del numero di migranti Ue è stato abbondantemente compensato dall'aumento del flusso extracomunitario. Il rapporto non nasconde tuttavia la necessità di prevedere facilitazioni in futuro per gli specialisti europei «ad alta qualificazione», richiamando le preoccupazioni di 400 aziende interpellate sul rischio che la Brexit possa comportare altrimenti una penuria di forza lavoro in vari settori chiave dell'economia isolana. Sullo sfondo monta del resto la polemica sull'ipotesi di un fallimento complessivo del negoziato con Bruxelles e di un 'no deal'. Epilogo che il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, è tornato a paventare stamane come possibile, appellandosi in toni drammatici a «evitare questa catastrofe».


Una catastrofe temuta pure da Philip Hammond, titolare del Tesoro nel gabinetto May, che - rilanciando gli allarmi della City e del Fmi - si aggrappa da parte sua alla più pragmatica delle interpretazioni della svolta negoziale morbida varata da May nella riunione di Chequers per auspicare la quadratura del cerchio entro novembre, nonostante i nodi ancora irrisolti: primo fra tutti il dossier del confine aperto fra Irlanda e Irlanda del Nord. Il progressista Guardian dà intanto voce a fonti bruxellesi fiduciose che alla fine, «nell'ora più buia» del prendere o lasciare, la premier britannica chinerà il capo. E accetterà quella Brexit di compromesso che è esattamente ciò che ripugna a Boris Johnson e agli altri dissidenti brexiteers ultrà di casa Tory. Ma anche a chi sogna un ribaltone europeista tout court come Vince Cable, leader LibDem, che inaugurando la stagione dei congressi di partito oggi a Brighton ha cercato di rianimare la sua malandata compagine presentandola come avanguardia della battaglia più difficile: quella per un referendum bis.
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Il Messaggero