Dovrà vivere sotto lo stesso tetto con l'uomo che l'ha stuprata per ben due volte condannandola a una vita di inferno. Una scelta “obbligata”...
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La scorsa settimana, infatti, secondo quanto riporta il Borneo Post, un tribunale dello stato malese del Sarawak ha stabilito che «non c'è alcuna necessità di procedere in questo caso, visto che i due si sono sposati». Una decisione impopolare che ha fatto storcere per l'ennesima volta il naso agli attivisti, consci del fatto che nel Paese, a maggioranza musulmana, le famiglie preferiscono che le vittime di stupro vadano in sposa ai propri carnefici piuttosto che «vedere il nome della ragazza infangato in un tribunale». E con questa logica, molti casi di abusi sessuali, che in Malesia comportano una condanna fino a 30 anni di carcere e una serie di frustate, rimangono impuniti.
«Queste situazioni fanno sì che si possa pensare che le conseguenze di una violenza sessuale non siano gravi - ha detto alla Afp Aegile Fernandez, di Tenaganita, una Ong che opera nel Paese - Uno stupro è uno stupro. Nel 2013 un uomo violentò una bambina di 12 anni ed evitò il carcere sposandola. Si tratta di un caso di ingiustizia». A criticare la sentenza anche Teo Nie Ching, politico malese che ha chiamato il governo a mettere mano a una riforma: «Bisogna cambiare. Questa non è la prima volta che a uno stupratore è stato permesso di sposare la sua vittima minorenne. Purtroppo non sarà nemmeno l'ultimo».
I matrimoni in cui sono coinvolti minori, e in molti casi bambini, non sono rari nel Paese del sud-est asiatico. Per sposarsi, le ragazze di età inferiore ai 16 anni devono ottenere il permesso dai tribunali islamici, ma secondo gli attivisti tale autorizzazione viene concessa troppo facilmente. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero