Boom di pentiti della Brexit: «Ora un nuovo referendum» `

Boom di pentiti della Brexit: «Ora un nuovo referendum» `
dal nostro inviato LONDRA Quelli che non ci stanno sono per lo più giovani, colti, abitano nelle grandi città, e adesso hanno scoperto che quella dell'Unione...

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LONDRA Quelli che non ci stanno sono per lo più giovani, colti, abitano nelle grandi città, e adesso hanno scoperto che quella dell'Unione Europea è una «bandiera bellissima». L'appendono alle finestre, se la fanno cadere addosso a mo' di mantello, se la disegnano sulle guance e poi si ritrovano davanti a Westminster a metà pomeriggio: «Io non sono britannica, sono Europea» ha scritto una ragazza su un cartello. Essendo lei molto carina e il cartello assai efficace è la più fotografata. Ma sono in tanti intorno a lei, qualche migliaio.


Sono più di due milioni, invece, quelli che nel giro di poche ore hanno mandato in panne il sito internet del governo nella sezione dedicata alle «mozioni popolari». Alcuni attivisti del remain ne hanno presentata una che potrebbe far saltare la consultazione che ha decretato l'addio della Gran Bretagna all'Europa. Prevede che un referendum venga considerato valido solo se alle urne ci vanno almeno 3 su 4 elettori aventi diritto (il 75 per cento); inoltre chi vince deve ottenere almeno il 60 per cento. Altrimenti si rifà tutto.

LE CIFRE
È improbabile che la mozione che comunque dovrà essere discussa dalle Camere - possa diventare legge. Ma più che la sua «fattibilità» è un'altra la cosa che conta: in poche ore l'hanno firmata due milioni di britannici. La cifra fa impressione, c'è chi comincia a chiedersi cosa potrebbe succedere se a firmarla fossero più dei 17 milioni che hanno consentito la vittoria del leave. E comunque il boom di firme aiuta a capire lo stato d'animo che tormenta il Regno Unito: chi ha perso il referendum si sente defraudato del diritto di restare in Europa, trova ingiusto che con il 3 per cento in più di voti i fautori del Brexit abbiano condizionato in modo così pesante il futuro di una nazione.
Paul e Colette, che davanti al Parlamento alzano cartelli contro «quel fascista di Farage» (il leader dell'Ukip, fortemente secessionista) lo spiegano così: «Alle elezioni politiche si può vincere anche per un solo voto di scarto, e chi perde non può sentirsi defraudato perché dopo cinque anni si torna al voto, c'è la possibilità di cambiare. Il voto di Brexit invece è per sempre, ed è assurdo che noi, che abbiamo vent'anni, dobbiamo pagare le conseguenze di una scelta definitiva fatta dai nostri nonni che hanno vinto per un pugno di voti in più».

Anche importanti autorità politiche stanno provando a rimettere in discussione il risultato del referendum. Il sindaco di Londra, Sadiq Khan, può contare su numeri inequivocabili: la Capitale ha votato al 70 per cento per rimanere in Europa. «Siamo una città internazionale, e vogliamo rimanere tale. Perché subire una decisione che noi non abbiamo preso?». Da qui la decisione di stabilire un contatto con Bruxelles per studiare la (remotissima) eventualità di trasformare Londra in un enclave europeo in un Regno Unito non europeo.

 
IL PRIMO CITTADINO

Quella di Kahn è, più che altro, una provocazione politica difficilmente realizzabile. Quella del primo ministro scozzese, invece, è una proposta che potrebbe divenire concreta: Nicole Sturgeon, premier del governo di Edimburgo, insiste infatti nel voler riconvocare un referendum tra gli abitanti della Scozia per chiedere il distacco dalla Gran Bretagna e l'automatica adesione all'Unione Europea. Anche lei può contare su numeri simili a quelli di Londra: «Nei nostri distretti il remain ha vinto ovunque, e sempre con più il 60 per cento dei voti. Noi non vogliamo andarcene dall'Europa e non vogliamo farlo per colpa di altri». La Sturgeon ha già convocato il suo governo cominciando a studiare le procedure per arrivare al nuovo referendum indipendentista il più in fretta possibile. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero