Blu Whale, la Cassazione: esclusa l'istigazione al suicidio

Blu Whale, la Cassazione: esclusa l'istigazione al suicidio
Chi istiga al suicidio adolescenti minorenni adescati con Blue Whale Challenge - il “gioco” fatale che si è diffuso in rete da febbraio e che spinge a...

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Chi istiga al suicidio adolescenti minorenni adescati con Blue Whale Challenge - il gioco” fatale che si è diffuso in rete da febbraio e che spinge a togliersi la vita - non commette reato nel caso in cui la vittima si procura lesioni lievi e non si suicida o non si provochi ferite gravissime. Così si è espressa la Cassazione nel primo verdetto che si occupa di questo pericoloso social game e di un adulto tutor, Vianny B., un uomo di 37 anni nato in India e dal cognome italiano, che aveva avvicinato in chat una ragazzina alla quale scriveva messaggi tipo «manda audio in cui dici ke sei mia schiava e della vita non ti importa niente e me la consegni». Ad avviso della Suprema Corte, l'uomo deve essere accusato di adescamento ma non di istigazione al suicidio perché la minorenne si era «procurata lesioni non gravi». La legge, rilevano gli ermellini alleggerendo la posizione dell'indagato, stabilisce che «non è punibile» l'istigazione «seguita da suicidio mancato da cui deriva una lesione lieve o lievissima». 


«Coglie nel segno», scrive la Cassazione nella sentenza 57503, l'obiezione della difesa di Vianny B. «in merito alla inconfigurabilità» del delitto di istigazione al suicidio (art. 580 cp). La norma in questione, spiegano i supremi giudici, «punisce l'istigazione al suicidio, e cioè a compiere un fatto che non costituisce reato, a condizione che la stessa venga accolta e il suicidio si verifichi o quantomeno il suicida, fallendo nel suo intento, si procuri una lesione grave o gravissima». La Cassazione conclude sottolineando che «la soglia di rilevanza penale individuata dalla legge in corrispondenza della consumazione dell'evento meno grave impone quindi di escludere la punibilità del tentativo, dato che, per l'appunto, non è punibile neppure il più grave fatto dell'istigazione seguita da suicidio mancato da cui deriva una lesione lieve o lievissima».


Per questi motivi, i supremi giudici hanno confermato il sequestro del cellulare dell'indagato solo per il reato di adescamento e non anche per l'istigazione al suicidio come aveva invece fatto il Tribunale di Roma in veste di giudice del riesame, con ordinanza del 28 giugno, dando seguito alla richiesta del pm. La competenza del tribunale della capitale fa supporre che la
vittima sia residente a Roma, mentre il tentativo di Vianny B. di spostare la competenza a Bologna, luogo dal quale avrebbe compiuto l'adescamento on-line, fa ipotizzare che l'indagato risieda nel capoluogo emiliano. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero