I fatti risalgono a quattro anni fa, nel pieno della Primavera araba, il sommovimento popolare che ha destabilizzato la geopolitica nordafricana e mediorientale (e di cui, ancora...
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Nella telefonata, avvenuta nel febbraio 2011 (e quindi all’inizio delle rivolte), Blair invita il rais a favorire una soluzione pacifica della crisi, lasciando il potere senza ulteriori spargimenti di sangue. Si apprende ora dell’esistenza di questa conversazione tra i due leader, dopo che il Dipartimento di Stato americano ne ha reso nota la trascrizione: all’epoca, infatti, uno dei collaboratori di Blair (Catherine Rimmer, capo della strategia), dopo aver messo per iscritto il contenuto della telefonata, lo trasmise a Jake Sullivan, consigliere di Hilary Clinton, nel 2011 Segretario di Stato Usa.
Ma cosa spinse Blair a cercare il rais per prospettargli una exit strategy dal paese in fiamme? In quei giorni le potenze occidentali avevano ormai abbandonato Gheddafi al suo destino: da Bengasi, città storicamente nemica del colonnello e primo focolaio della rivoluzione, le proteste avevano raggiunto Tripoli e i palazzi del potere. Il dittatore era sempre più isolato e non aveva esitato a bombardare la popolazione civile per sedare la rivolta. L’Onu, allora, aveva approvato una risoluzione che mirasse a porre fine alle “gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani”, istituendo una no-fly zone sui cieli libici. In marzo era subentrato l’intervento militare delle forze occidentali, cui aveva contribuito anche l’Italia, fornendo le basi di Sigonella e Gioia del Colle ai caccia americani e inglesi.
In uno scenario così compromesso, Blair alza la cornetta e chiama colui che considera un “vecchio alleato” per indirizzargli un “forte messaggio”: le violenze devono cessare, il colonnello deve favorire una transizione pacifica, lasciando il potere che detiene da oltre 40 anni. L’imperativo, si legge nella trascrizione della telefonata, è quello di “fermare la carneficina”. Da qui il consiglio più sincero: «Se hai un posto sicuro dove rifugiarti, raggiungilo immediatamente», consapevole del fatto che la guerra non sarebbe terminata senza un cambio al vertice del paese. «Il processo di transizione dev’essere guidato e noi dobbiamo trovare il modo per farlo» aggiunse l’ex inquilino di Downing street.
Forte del suo ruolo di inviato speciale per conto dell’Onu e delle principali organizzazioni internazionali, Tony Blair si fece portatore dei messaggi indirizzati al rais dagli Stati Uniti (e dai suoi alleati). Alla comunità internazionale premeva che i bombardamenti sui civili cessassero al più presto; per questo suggerisce a Gheddafi di compiere gesti concreti in tal senso, di modo che possa rassicurare i propri referenti sulle buone intenzioni del leader libico. Sappiamo poi com’è andata: Gheddafi è stato catturato dai ribelli nell’ottobre del 2011, mentre cercava di fuggire da Sirte, e barbaramente ucciso con un colpo di pistola alla testa. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero