Il primo a levare le tende e spostare la sede legale da Barcellona a Alicante per paura della Catalexit, con una secca decisione dei vertici dell’istituto e senza...
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LA MOSSA
Il governo di Madrid starebbe progettando un decreto per oggi, che spiazzerebbe i piani dei separatisti consentendo agli istituti di credito come Caixa e ad altre aziende di spostare la propria sede legale con una semplice comunicazione dei vertici, cioè senza convocare l’assemblea degli azionisti. Mossa che avrebbe il vantaggio di proteggere aziende e istituti di credito in Catalogna da ripercussioni della secessione. Dalla necessità fra l’altro di rinegoziare l’ingresso nella UE, anche se l’estromissione non sarebbe immediata: l’indipendenza non verrebbe riconosciuta subito e le banche formalmente resterebbero legate al sistema di regole (e garanzie) della Banca centrale europea. Ma subirebbero i contraccolpi della dichiarazione del parlamento catalano. Come la reazione della Borsa e il fuggi fuggi di correntisti. In prospettiva, poi, la Catalogna si troverebbe fuori non solo dall’Unione bancaria ma dalla moneta unica. Tra i riflessi condizionati di Madrid, insieme alla presa di controllo delle finanze catalane, la sospensione dell’autonomia secondo l’art. 155 della Costituzione, indicendo nuove elezioni.
Se la spinta della piazza dovesse però approfondire la crepa e favorire il distacco? La Catalogna, europeista, potrebbe adottare l’euro e in compagnia di Equador, Timor Est, Turks and Caicos, Isole Marshall, Salvador, Micronesia, Isole Vergini Britanniche e Zimbabwe usare una moneta che non è la propria e non può “stampare”. Dovrebbe poi affrontare il potenziale drenaggio di non catalani pronti a lasciare Barcellona. Senza parlare della necessità di creare una propria agenzia nazionale del fisco, e del disagio di grandi aziende che hanno scommesso sul dinamismo dell’economia catalana (che “vale” il 19 per cento del Pil spagnolo e esporta per due terzi fuori dalla Spagna). E poi peserebbe il buco nero del debito pubblico, vero tallone d’Achille della Catalogna, molto più alto della media spagnola: 77 miliardi di euro (52 detenuti dal governo spagnolo). Oltretutto, la Catalogna nel chiedere l’ingresso nella Ue si scontrerebbe col veto della Spagna e di altri paesi minacciati da spinte separatiste come il Belgio.
Il quotidiano unionista ABC cita la fonte di una grande impresa basata nella regione: «Le grandi compagnie non sono disposte a pagare le conseguenze negative di una separazione dalla Spagna senza l’ombrello dell’Unione europea». Alcune hanno già trasferito la sede sociale. ABC cita Naturhouse, Grifols, Suez e Derby Hotel. Annuncia il trasloco a Madrid la biofarmaceutica Oryzon. Seat e Nissan, che qui sfornano oltre 550 mila dei 2,8 milioni di automobili prodotte in Spagna, seguono «da vicino la situazione». Il Banco Santander fa sapere che sono aumentate le telefonate di quanti vogliono trasferire i conti da istituti basati in Catalogna. Quanto al possibile trasferimento della CaixaBank, sarebbe un trauma anche perché la sua Fondazione finanzia molti programmi sociali in Catalogna. E ancora. Come si regoleranno le multinazionali americane da Procter & Gamble a DowDuPont, o le europee Volkswagen (3 stabilimenti nella regione) e Nestlè? E Inditez, il gestore aeroportuale Aena, e Abertis nelle infrastrutture, società legate ai mercati internazionali o comunque vincolate alla Spagna?
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Il Messaggero