Il Bangladesh pronto a introdurre la pena di morte per l'omicidio stradale

Il Bangladesh pronto a introdurre la pena di morte per l'omicidio stradale
BANGLADESH Pena di morte per i responsabili di incidenti stradali mortali. Due giorni di violente manifestazioni di piazza a Dacca, dopo uno schianto mortale causato dalla gara...

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BANGLADESH Pena di morte per i responsabili di incidenti stradali mortali. Due giorni di violente manifestazioni di piazza a Dacca, dopo uno schianto mortale causato dalla gara tra due autobus che per arrivare primi alla fermata hanno brutalmente falciato due ragazzi, stanno forzando la mano al governo del Bangladesh che si prepara a emanare una legge che istituisce la pena capitale per chi provoca incidenti con vittime. Lo stesso ministro della Giustizia Anisul Hu ha però dichiarato che la pena di morte sarà presa in considerazione solo «quando l’indagine dimostrerà che il decesso nell’incidente automobilistico è stata causato deliberatamente».

AUTISTI SENZA PATENTE E CORRUZIONE
In Bangladesh la situazione è ai limiti del collasso, con un tasso di mortalità del 12,8% rispetto al totale degli incidenti stradali. Secondo gli ultimi dati disponibili, i più esposti sono i pedoni (53,7% dei decessi), seguiti dagli occupanti dei veicoli a quattro ruote (26,2%), da motociclisti e scooteristi (8,2%), mentre sono meno esposti i ciclisti (2,6%). L’impegno che viene chiesto al governo è quello di intervenire in una situazione stradale che è una giungla selvaggia priva di regole e che deve fare i conti con «la corruzione della polizia e il controllo del traffico pressoché inesistente». Secondo le stime, ogni anno 12.000 persone muoiono perché coinvolte in incidenti stradali e di queste 5.000 sono pedoni. La capitale Dacca, in particolare, è soffocata dal traffico: «Autisti senza patente, veicoli non registrati e autobus che corrono oltre i limiti sono la normalità, la corruzione della polizia è diffusa e il controllo del traffico pressoché inesistente», rileva l’Associated Press.
CONCORRENZA SLEALE
Tutto è cominciato alla fine di luglio quando due ragazzi, Diya Khanam Mim di diciassette anni e Abdul Karim Rajib di diciotto, sono stati uccisi alla fermata mentre aspettavano l’autobus per tornare a casa. L’incidente è stato provocato da due mezzi che hanno accelerato quasi contemporaneamente per arrivare prima alla fermata e aumentare i guadagni caricando più passeggeri. Altre dieci persone sono rimaste ferite. Stando alla stampa locale, la situazione dei mezzi di trasporto di Dacca è insostenibile. Il padre di Diya Khanam Mim, di professione autista, ha raccontato al Daily Star: «Mia figlia sognava di diventare un banchiere. Abbiamo fatto del nostro meglio per aiutarla a realizzare il suo sogno, ma tutte le nostre speranze ora si sono spezzate». Secondo il quotidiano i proprietari delle compagnie di trasporto attribuiscono la colpa alla concorrenza sleale: considerata la riduzione delle corse per via del traffico intenso, i proprietari affittano i mezzi a guidatori che pensano solo ai profitti, non certo alla sicurezza. Dopo la notizia della morte dei due ragazzi gli studenti dello Shaheed Ramiz Uddin Cantonment College di Dacca sono scesi per strada ed è esplosa la protesta.
AGGRESSIONE ALL’AMBASCIATRICE USA

Con il passare dei giorni i cortei sono diventati sempre più numerosi, in un crescendo di rabbia: i manifestanti hanno danneggiato bus e macchine, compresa l’auto dell’ambasciatrice americana a Dacca, Marcia Bernicat, rimasta illesa. La quale ha poi dichiarato che l’opera di qualche facinoroso non può e non deve mettere in ombra le proteste di chi «ha pacificamente esercitato i propri diritti democratici per difendere un Bangladesh più sicuro». La polizia ha usato il pugno duro contro chi protesta, le Nazioni Unite hanno chiesto al governo di rispettare l’ordine democratico soprattutto dopo l’arresto del famoso fotografo Shahidul Alam, che stava documentando le manifestazioni. La risposta del primo ministro Sheikh Hasina, per il momento, è stata quella di appoggiare una legge per dare la pena di morte a chi compie omicidi stradali.
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Il Messaggero