Beirut, bombe contro il governo. Ucciso un ex ministro. I testimoni: «Ci sono 8 morti»

Beirut, bombe contro il governo. Ucciso un ex ministro. I testimoni: «Ci sono 8 morti»
Di nuovo morti e feriti per un attentato in Libano. L'obiettivo dell'attentato sarebbe uno stretto collaboratore...

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Di nuovo morti e feriti per un attentato in Libano.


L'obiettivo dell'attentato sarebbe uno stretto collaboratore dell'ex premier Saad Hariri, figlio di Rafik Hariri, primo ministro ucciso in un attentato nel 2005. Lo riferisce l'agenzia

libanese. Una forte esplosione è avvenuta nel centro di Beirut. Una densa colonna di fumo si leva sopra i palazzi cittadini. Secondo Al Arabya ci sarebbero «molti morti e feriti», secondo Al Jazeera le vittime sarebbero almeno quattro, ma il bilancio secondo la Croce Rossa è di otto morti. L'attentato è avvenuto a poca distanza dal complesso roccaforte del governo a causarlo probabilmente una serie di auto bomba.



L'ex ministro libanese delle Finanze, Mohammed Shattah, è rimasto ucciso nell'esplosione dell'autobomba nel centro di Beirut.



L'anti siriano L'ex ministro libanese ucciso stamani nell'attentato a Beirut, Muhammad Shatah, era il braccio destro dell'ex premier Saad Hariri e leader dell'opposizione parlamentare vicina all'Arabia Saudita e ostile agli Hezbollah e all'intero asse filo-iraniano in Libano e nella regione. Shatah aveva ricoperto la carica di ambasciatore libanese negli Stati Uniti e consigliere dell'ex premier Fouad Siniora. Ultimamente l'ex ministro era stato incaricato di gestire a Beirut le relazioni politiche e con i media per conto di Hariri, da tempo residente all'estero per timore di esser ucciso nel suo Paese. Pochi minuti prima di essere ucciso, Shatah aveva scritto sul suo profilo Twitter un commento molto duro nei confronti del regime siriano e degli Hezbollah, alleati dell'Iran. Shatah è morto mentre si trovava a bordo della sua auto, diretto a una riunione della coalizione dell'opposizione parlamentare in un palazzo poco lontano dal luogo dell'esplosione. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero