Appalti e tangenti, Renzi prende le distanze: «Difficile sostenere Lupi»

Appalti e tangenti, Renzi prende le distanze: «Difficile sostenere Lupi»
ROMA - Silenzio. Dal premier Matteo Renzi, non è arrivata neanche una parola a difesa di Maurizio Lupi, zero telefonate. Il barometro segnala gelo da palazzo Chigi nei confronti...

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ROMA - Silenzio. Dal premier Matteo Renzi, non è arrivata neanche una parola a difesa di Maurizio Lupi, zero telefonate. Il barometro segnala gelo da palazzo Chigi nei confronti del ministro delle Infrastrutture. Il governo non si impicca su Lupi. Renzi non ne ha fatto parola neanche alla riunione al Nazareno con i suoi parlamentari: in discussione erano le unioni civili, e il premier segretario solo a quelle si è attenuto.




RIUNIONE AL NAZARENO

Ma il tema era troppo caldo per non avere risposte. Sicché, informatosi sulle carte fin qui emerse, mettendo insieme quanto già sapeva e aveva riscontrato, Renzi con i suoi è stato alquanto esplicito: «Certo, politicamente Maurizio non è facile da sostenere». E poco dopo, sempre ai suoi: «Nei prossimi giorni ne sapremo di più, ma un problema c'è, rimane». Non è una condanna giudiziaria o morale, più che altro appare come una presa d'atto di insostenibilità politica. «Siamo a inizio inchiesta, prematuro trarre elementi di colpevolezza per il ministro e il governo», la posizione del sottosegretario Graziano Del Rio.



Più articolato il ragionamento che trapela a tarda sera da palazzo Chigi. Massima fiducia nella magistratura, bene che si faccia piena, totale chiarezza. Quanto a Ercole Incalza, dal 31 dicempre scorso - ricordano - non è più al ministero e all'epoca fu una precisa richiesta proprio di palazzo Chigi. Questo, insomma, è il governo di Cantone, nessuno sfugge allo scrutinio che deve valere per tutti, nessuno escluso. Ma nessuno utilizzi questi fatti per dare il messaggio che sono tutti uguali, che i grandi eventi tipo Expo non si possono fare e siamo condannati a soccombere alla corruzione. Non è così e in particolare su Expo il governo non si arrende.



E lui, il ministro? La parola dimissioni Lupi non la vuole neanche sentire nominare, e infatti non la nomina. Il responsabile delle Infrastrutture ha informato di avere espresso «massima disponibilità» verso la magistratura e le inchieste connesse, aggiungendo che «ognuno risponderà degli errori fatti, se li ha fatti, ma non possiamo fermare la grandi opere. Siamo al fianco della magistratura». Per tutto il giorno in contatto con Alfano, ieri sera i due hanno avuto un lungo faccia a faccia. Dall'Ncd sono arrivate prese di posizione tese a stigmatizzare la cosiddetta «macchina del fango». Per tutti, Gaetano Quagliariello, che di Ncd è il coordinatore: «Sì alla trasparenza, no al fango nel ventilatore, la lotta agli abusi si conduce anche con la serietà e la civiltà». Dichiarazioni anche da altri centristi come Cicchitto, De Girolamo, Sammarco, Bianconi.



Una bella gatta da pelare, per Renzi e tutto il governo. Con un ministro in un ruolo chiave come le Infrastrutture, politicamente non del Pd ma del partito momentaneamente alleato in coalizione, l'Ncd, che guarda dall'altra parte, a Forza Italia in particolare, e che è stato più volte sul punto di scendere in campo contro il Pd, come quando si diffuse voce insistita di Lupi che intendeva candidarsi a sindaco di Milano con l'appoggio di Forza Italia. E poi, all'esterno, c'è la campagna di partiti e movimenti che fanno della lotta alla corruzione il loro ubi consistam. Ecco perché, a metà pomeriggio, Renzi continua a non parlare del caso Lupi ma fa parlare il suo tweet per trasmettere due concetti chiari e semplici per tutti: «Contro la corruzione proposte del governo: pene aumentate e prescrizione raddoppiata». Come a dire: il governo non ha nulla da imparare da altri in materia. Al punto che il governo non esclude neanche di recarsi in Parlamento per fornire una informativa su tutta la vicenda grandi opere legata all'inchiesta, o come question time o come governo che riferisce in Parlamento.



M5S E SEL: MOZIONE DI SFIDUCIA


Le dimissioni, finora, sono state chieste dal M5S e da Tonino Di Pietro, che per l'occasione è tornato a farsi sentire anche per cognizione di causa, essendo stato ministro nello stesso dicastero di Lupi e potendo vantare di avere fatto allontanare Incalza da quell'ufficio. C'è poi Sel di Vendola che si prepara a chiedere ufficialmente le dimissioni, forse oggi stesso. C'è poi un assessore di Milano del Pd, Pierfrancesco Majorino, che chiede esplicitamente al suo partito di «aprire una riflessione», spiegando che anche se non c'è «nulla al momento di penalmente rilevante, però a livello nazionale e lombardo una riflessione si impone». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero