Ansbach, ecco il volto del kamikaze: il culturista che non pregava

Mohamed Daleel non pregava mai. In compenso aveva un fisico imponente, muscoli, pettorali, bicipiti, e capelli lunghi, fino alle spalle. «Per questo qui lo chiamavano tutti...

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Mohamed Daleel non pregava mai. In compenso aveva un fisico imponente, muscoli, pettorali, bicipiti, e capelli lunghi, fino alle spalle. «Per questo qui lo chiamavano tutti Rambo, perché somigliava a Sylvester Stallone, ma non perché fosse violento. E poi si vestiva sempre bene, jeans firmati e polo» racconta ai cronisti tedeschi Mahmud Mubariz, pachistano, 28 anni.

È un po' intontito davanti alle telecamere, impaurito davanti alla polizia che ha visto sbarcare l'altra notte. Mahmud divideva la stanza al secondo piano dell'Hotel Christl con Daleel da diverse settimane. L'edificio un po' scrostato, con balconi pieni di biciclette, si trova in un quartiere residenziale di Ansbach. E' stato requisito dalle autorità per accogliere rifugiati. Mahmud non riesce a crederci: Daleel si è fatto saltare in aria, voleva fare strage, era un terrorista, un «soldato dell'Isis».

IL VIDEO
Nel video registrato sul telefonino prima di azionare l'esplosivo giura di agire in nome di Allah, di voler «vendicare i musulmani», annuncia che i tedeschi «non devono dormire sogni tranquilli». Mahmud assicura di non averlo mai visto manipolare un'arma, non sa dove abbia potuto confezionare l'esplosivo, giura di non aver mai visto i pezzi di ferro, le batterie, il gasolio, l'acido idrocloridrico, i fili, i bulloni che gli agenti hanno trovato.
Al massimo, racconta «l'ho visto cucinare, ma poche volte, ogni tanto anche per gli altri del centro».
 
Quando ha visto arrivare la polizia, e poi le telecamere, non riusciva a crederci: aveva diviso la stanza con un terrorista, con un soldato dell'Isis pronto a fare strage. Daleel parlava poco: poco del suo passato, del presente e di quello che avrebbe voluto fare. Agli altri aveva detto che veniva da Aleppo. Perché? «C'è la guerra» si era limitato a rispondere. A tutti: ai rifugiati dell'Hotel Kristl e anche agli assistenti sociali e agli ufficiali tedeschi che per due volte gli avevano respinto la richiesta di asilo. «La guerra» era anche la spiegazione che dava delle cicatrici che aveva dovunque, e della necrosi ai piedi che aveva dovuto farsi curare in un ospedale tedesco. «La guerra» forse era anche la causa dei disturbi psichiatrici. Dei disturbi, dei suoi due ricoveri, dei due tentativi di suicidio però, non aveva parlato con gli altri rifugiati né con Mahmud, che lo ricorda «gentile, sorridente, ma anche molto discreto».

Non aveva bisogno di lavoro. Avrebbe potuto trovare qualcosa al Mac Donalds del quartiere, come Mahmud e qualche altro, ma non gli interessava. Né i soldi gli mancavano: ne aveva sempre su di sé e una bella somma è stata trovata dalla polizia tedesca nel corso della perquisizione. Alla polizia tedesca era già noto: aveva precedenti per droga e violenze, ma, pare, niente di grave. E soprattutto, nulla che lo potesse collegare al radicalismo, alla Jihad, all'Isis.

Nella scheda dei servizi sociali risulta «amichevole, discreto, gentile». Eppure il pc e il telefonino cellulare sono pieni di materiale di propaganda e di contatti sospetti. La polizia lavora anche sui sei profili Facebook che aveva creato con altrettante diverse identità.

Nel video di rivendicazione, in arabo, annuncia la sua appartenenza all'Isis e la sua fedeltà al califfo, al-Baghdadi. Parla di vendetta «per i musulmani uccisi» e minaccia un attentato «in nome di Allah» contro la Germania e i tedeschi che, dice, «non devono dormire sonni tranquilli». Nel pc e nel telefonino c'erano altri video cruenti, di esecuzioni, e anche tutor per la fabbricazione di bombe.


Secondo la polizia, non è ancora chiaro se Daleel avesse seguito un addestramento in Siria, ma di sicuro «era pronto e in grado di uccidere, e non è escluso che si sia autoaddestrato su internet». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero