Amatrice: «Nel 2016 abbiamo perso tutto ma ora non dobbiamo mollare»

dal nostro inviato AMATRICE Giovanni l’ha promesso. Oggi alzerà le mani al cielo e pur miscredente, ringrazierà il cielo per essere vivo, avere ritrovato il...

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dal nostro inviato
AMATRICE Giovanni l’ha promesso. Oggi alzerà le mani al cielo e pur miscredente, ringrazierà il cielo per essere vivo, avere ritrovato il lavoro di cameriere e poter ancora mettere il vestito buono, la domenica. La notte del 24 agosto quando ad Amatrice la terra si prese 298 persone, il cielo fermò una trave che mirava alla sua schiena. «Un miracolo? No, fortuna, il miracolo è avere recuperato il mio posto», dice. 

Il lavoro nobilita l’uomo, apre la Costituzione e tiene la gente nei luoghi dove la terra si muove sconfinando nei gradi Richter del terremoto. A due anni dal sisma più ampio e feroce del Centroitalia, il principio dei posti di lavoro per evitare la fuga dalle zone dove le macerie incrociano le casette e i primi cantieri della ricostruzione privata e pubblica, vale più di ogni altro incentivo. 

LA LEZIONE DI AMATRICE
Nei comuni reatini, da Amatrice ad Accumoli, la pena cambia e si affina. «L’adrenalina che ci ha accompagnato il primo anno è finita, adesso è il tempo della resistenza – dice don Fabrizio Borrello, direttore della Caritas reatina, che tra Amatrice e Accumoli in questi due anni ha letteralmente messo le tende – Chi ha deciso di rimanere e ha avuto la sua casetta ha ora pienamente preso coscienza che la situazione sarà così per anni». «Così», senza più la casa vera, il paese di una volta e quella rete di attività e relazioni già rarefatte prima del terremoto, figuriamoci adesso.

 

Però c’è una speranza: «A settembre - prosegue don Fabrizio - si capirà quante famiglie hanno deciso di iscrivere nuovamente i figli a scuola, quanti anziani andranno a passare l’inverno da figli o parenti altrove». I problemi più grandi li ha chi abita nei villaggetti delle frazioni: evidentemente costruire casette ovunque non sempre è stata una buona idea. Ma anche per chi vive nel centralissimo campo Anpas è difficile: vita sociale zero, e la notte gran via vai di cinghiali. «Io e mia moglie siamo restati, ma è dura – dice Giovanni, da poco in pensione – avevamo una casa di 240 metri quadrati, me ne hanno data una di 40 metri quadrati perché siamo in due. Non mi chiedete se e quando rivedrò casa ricostruita – mette le mani avanti – ci vorranno anni, non so se avremo il tempo e la voglia di aspettare». Chi invece aspetterà è Pietro, che tra Amatrice ed Accumoli ha deciso insieme ad Ida di crescere Ivan, uno splendore di bambino: «Noi abbiamo un lavoro qui, io al comune di Accumoli, mia moglie in quello di Amatrice, e questo già ha delimitato il campo. Il primo inverno dopo il terremoto lo abbiamo passato sulla costa. Confesso che se avessimo potuto saremmo rimasti lì, soprattutto per il bimbo. Ma il nostro lavoro è qui e siamo tornati». Lui ha scelto di avere la casetta d’emergenza ad Accumoli: «Almeno, rispetto ad Amatrice, non vediamo le macerie tutti i giorni e i nostri figli non respirano quella polvere – dice – le sae sono state raggruppate, così quei pochi che siamo ci incontriamo». Il bimbo però va a scuola ad Arquata, anche se è fuori regione. Gli altri compagni rimasti ad Accumoli a settembre torneranno in classe in una sae adattata a scuola. 

L’UMBRIA FA 
LA DIFFERENZA 
Nel rigore dei numeri, l’Umbria degli sfollati si ritaglia un posto al sole. Da queste parti il numero degli sfollati fa 7.378. E ora gran parte di loro ha un tetto sicuro. Tante le attività delocalizzate a Norcia, con i commercianti che cercano anche di contribuire personalmente a rendere la cittadina più attrattiva: «Sabato scorso – racconta Sara – abbiamo organizzato tutti insieme una sfilata di moda, per attrarre visitatori, ma anche per il piacere di fare qualcosa insieme». Oltre la paura, però, c’è la fuga. Come quella di Michele Gianfermi: lui c’ha provato a mettere su una bottega ambulante, ma poi ha dovuto desistere perché non rientrava con le spese. Ora vende norcinerie in Austria, altra montagna, dove l’ultimo terremoto fortemente distruttivo risale al 1511. 


(hanno collaborato Alessandra Lancia e Ilaria Bosi) Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero