«Augusto ha cercato di salvare il papà, che invece gli voleva togliere la vita. Quando si è reso conto che suo padre non si muoveva più, è sceso...
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Augusto, otto anni, è in un letto dell’ospedale di Pontedera, circondato dall’amore della mamma, Marilena Capone, una donna minuta che, ora, dopo il grande terrore di perdere il figlio, sembra ancora più piccola, logorata dalla notte più lunga della sua vita trascorsa nell’appartamento di via Sanfelice ad Afragola, nell’attesa che il telefono squillasse. Sperava che all’altro capo dell’apparecchio, qualcuno le annunciasse la fine di un incubo grandissimo, attraversato da un mulinello di pensieri che trafiggono come lame. Angoscia pesante come un macigno. Fino a quando in via Sanfelice è sorta un’alba livida, gravida di nuvole spinte dal libeccio che taglia il respiro. Ma poi quel silenzio opprimente è stato rotto dallo squilli del telefono che ha accelerato i battiti del cuore della mamma di Augusto. La donna ha trovato la forza di rispondere. Erano i carabinieri di Pontedera, che come insolite cicogne, di fatto, le riportavano il figlio scomparso. Poche parole che hanno cancellato di botto angoscia, terrore, disperazione.
Marilena Capone, che di lavoro fa il dottore commercialista ad Afragola, una professione di famiglia, una dinastia iniziata dal padre, morto qualche anno fa, e continuata anche dal fratello Antonio Capone, in fretta e furia ha preparato un borsone per Augusto, ed è salita nell’auto del fratello. Accudita dalla moglie di Antonio ha iniziato il viaggio più “bello” della sua vita. Poche ore per mangiarsi quei cinquecento chilometri, ma sembravano quelli tra la terra e la luna. Per arrivare finalmente presso l’ospedale di Pontedera, dove è ancora ricoverato in osservazione il piccolo Augusto, che nelle primissime ore del pomeriggio è stato raggiunto anche dallo zio Giancarlo. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero