Armando Siri va difeso. Punto. È la linea di Matteo Salvini. È la linea di una Lega che, al netto di sensibilità personali, ha visto come un affronto la...
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Poi aggiunge: «Bisogna decidere se si vuole perdere tempo o lavorare». Ma il M5s, convinto di aver segnato un punto su un tema sensibile per il suo elettorato, scommette che Salvini non possa far saltare il governo su Siri e si fa spavaldo. «La questione Siri è chiusa», dichiara Di Maio. Poi stuzzica l'alleato: «Quanto casino fa la Lega per una poltrona». I rapporti sono così logori, che non si segnalano contatti in giornata tra i vertici del governo («Conte? Vorrei sentire Antonio...», ironizza Salvini). Il primo Consiglio dei ministri utile per confrontarsi su Siri ci sarà mercoledì mattina, 8 maggio. La Lega fa testuggine e al momento esclude le dimissioni del sottosegretario, soprattutto se prima di mercoledì Siri verrà ascoltato dalla procura di Roma. C'è tempo, fa notare qualche fonte, per cambiare idea ed evitare il «redde rationem» in Cdm. Ma anche gli avversari dell'ideologo della flat tax interni alla Lega sostengono la linea dura, in nome del garantismo: «Nessuno lo molla», dicono da via Bellerio. E Siri su Facebook li ringrazia, smentendo di sentirsi abbandonato. Spetta a Conte portare in Cdm il decreto di revoca del sottosegretario, d'accordo con il ministro Danilo Toninelli e «sentiti» gli altri ministri. La firma di Mattarella è solo formale. Il voto in Cdm non è previsto. Oggi dalla Lega fanno sapere che difficilmente diserteranno la riunione, ma non lo escludono. Un confronto, a meno di dimissioni in extremis di Siri, ci sarà. «I numeri sono dalla nostra parte», dice Di Maio, che conta la maggioranza dei ministri. E difende anche il premier Conte dall'accusa leghista di essersi schierato ancora una volta col Movimento. Ma per evitare lo «showdown» politico, sia Toninelli che il leader M5s auspicano che Siri si dimetta prima del Cdm. Comunque vada, assicura Salvini, il governo va avanti. Ma i leghisti aggiungono: per ora. Dopo le europee si apre un'altra partita. Di Maio scommette che non ci sarà neanche un rimpasto di «poltrone». I leghisti raccontano che il leader ora non esclude più neanche la rottura: se davvero, come dice qualche sondaggio, la Lega scavalcasse il M5s di 10-12 punti, Salvini potrebbe aprire una crisi di governo al buio. Perché se è vero che il leader della Lega non vuole addossarsi la crisi, è anche vero che - come assicura Di Maio - i litigi «non sono una finta». I rapporti sono logori: ricucire non è scontato.
«Mi meraviglio tutto questo casino per l»attaccamento ad una poltrona.
«Se diciamo che siamo il governo del cambiamento, che siamo diversi da quelli di prima non possiamo permettere che ci sia una persona che dalle carte sembra che abbia aiutato un piccolo personaggio e lo lasciamo a fare il sottosegretario» dice Luigi Di Maio parlando in un incontro elettorale. «Lo dobbiamo fare perché alla fine voi smettete di avere fiducia nelle leggi. Dobbiamo smettere di dire che è cosa di niente perché per averlo detto negli ultimi 20 anni abbiamo ridotto il Paese a cosa di niente».
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Il Messaggero