In due ore di riunione gelida ma senza scontri plateali si consuma la revoca del sottosegretario Armando Siri. Giuseppe Conte rispetta le previsioni e decide per...
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Siri, da Salvini stoccata al M5s: «La Raggi è indagata da anni e resta al suo posto»
E il caso non fa che accentuare un trend evidente già da giorni: da qui al 26 maggio tra il M5S e la Lega sarà guerra, su ogni tema, all'ultimo voto. Il Cdm che segna il D-Day nei confronti di Siri inizia con 45 minuti di ritardo per una pre-riunione dei ministri leghisti nello studio di Giancarlo Giorgetti. Tra gli ultimi ad arrivare ci sono Salvini e Di Maio. Assenti Enzo Moavero e Giovanni Tria. Il tema Siri è il primo punto all'ordine del giorno. Conte spiega le ragioni per cui il sottosegretario debba fare un passo indietro. Ragioni di opportunità politica attraverso le quali il premier si smarca da qualsiasi parzialità a favore dei 5 Stelle. «Se perdiamo al fiducia dei cittadini non potremo agire come governo del cambiamento», è il concetto ribadito da Conte. E, ai ministri, specifica che non ci saranno automatismi per episodi simili, che saranno analizzati caso per caso. «Ma io rivendico il metodo adottato anche per il futuro», sottolinea il premier.
La difesa di Salvini fa riferimento a quei principi del garantismo già snocciolati in questi giorni. Il clima, a metà della riunione, si adombra. La palpabile freddezza tra i due vicepremier - tanto che neppure in una pausa tecnica del Cdm si sarebbero parlati - diventa gelo. Per il M5S è Di Maio a parlare, scegliendo una linea più morbida, ricordando che Siri, se innocente, potrà tornare al suo posto. Ed è subito dopo che Conte pronuncia la domanda-chiave: «Questo è un passaggio di alta valenza politica, ho la piena fiducia di tutti?». «Si», è la risposta di Salvini che però precisa di non poter concordare nell'avallare la delibera di revoca. La delibera viene verbalizzata. Il presidente della Repubblica, con decreto ad hoc, completerà la procedura. E Di Maio, al termine del Cdm, istituzionalizza la sua vittoria. «Non è la nostra, ma quella dei cittadini onesti», scandisce il vicepremier parlando di «importante segnale di discontinuità del governo» e garantendo: «avanti 4 anni». «Gli altri partiti prendano esempio da noi», gli fa eco Davide Casaleggio, anche lui a Roma.
Poi, nel pomeriggio, tutto il Movimento decide di guardare oltre il caso Siri, «incassando» in silenzio la seconda giornata politica all'insegna delle inchieste giudiziarie. Ma il leader leghista per tutta la giornata colleziona iniziative e dichiarazioni lontanissime dal tema giustizia. Annuncia, ad esempio, la chiusura di tutti i negozi di Cannabis, andando allo scontro con il M5S. «Non diamo informazioni errate, i cannabis shop non vendono droga», sottolinea il titolare della Sanità Giulia Grillo. Cantieri, flat tax salario minimo, aiuti alle famiglie: il ring della guerra elettorale è segnato. «Convochiamo subito un tavolo su flat tax e salario minimo», annuncia Di Maio avvertendo: «ciascuno porterà le coperture alla sua proposta». Salvini ribadisce che non avrebbe mai fatto cadere il governo sul caso Siri. Ma non risparmia una stoccata al M5S: «la Raggi è indagata da anni ed è al suo posto». Ed una al suo premier, che su Siri e la Tav - osserva - «ha preso le parti del M5S». La battaglia è appena cominciata.
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Il Messaggero