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Per Mario Draghi, con la guerra ai confini d’Europa e il Pnrr da portare avanti, non è il tempo di prendere e sbattere la porta. «Il Presidente non molla, resta al suo posto più gagliardo di prima», dice chi ha parlato con il premier nelle ultime ore. Ma nell’entourage di Draghi si fa sempre più forte il sospetto che Giuseppe Conte e Matteo Salvini «cerchino l’incidente per andare a votare a giugno». Uno scenario che allarma Sergio Mattarella: «Bisogna assolutamente evitare la crisi», ammoniscono dal Quirinale. Sulla stessa linea il segretario del Pd, Enrico Letta, che di Conte è (era?) il promesso alleato: «Se cadesse il governo l’Italia lascerebbe sbigottito il mondo intero. Lavoriamo con impegno per evitarlo».
Tutte le fonti interpellate non credono che il leader dei 5Stelle e il segretario della Lega - tornato ieri a bombardare l’esecutivo sul fronte dei migranti attaccando a testa bassa la ministra degli Interni Luciana Lamorgese - abbiano «il coraggio di aprire la crisi». Ma, appunto, «cercano l’incidente». «Il momento della verità» sarà a metà di aprile, quando il Documento di economia e finanza (Def) che dovrebbe contenere l’aumento delle spese militari, sarà votato dal Parlamento. Prima l’«incidente» è da escludere, tanto più che oggi i 5stelle in Senato voteranno la fiducia al decreto Ucraina.
La convinzione che Conte e Salvini puntino alle elezioni a giugno è fondata sulla «pretestuosità» e la «strumentalità» dell’atteggiamento dei due leader, sia sul fronte delle spese militari, sia su quello dei migranti.
Parole, «pronunciate da Conte che è il premier che ha speso di più in armamenti negli ultimi vent’anni», che hanno innescato (di nuovo) l’irritazione di Draghi. Nei giorni scorsi, infatti, il capodelegazione dei 5Stelle al governo Stefano Patuanelli, era stato «puntualmente informato» da palazzo Chigi che non era, e non è, prevista alcuna accelerazione rispetto alla scadenza del 2028 per raggiungere la quota del 2% del Pil. E che il premier non aveva, e non ha, alcuna intenzione di rendere più breve la road map fissata dalla Difesa.
Tant’è che, dopo il nuovo attacco di Conte, Draghi ha fatto scendere in campo Lorenzo Guerini per smascherare la «strumentalità» dell’offensiva del leader 5Stelle. Il ministro della Difesa ha confermato, appunto, che non c’è alcun anticipo al 2024 come invece va dicendo l’avvocato pugliese: «Il nostro obiettivo è raggiungere il 2% nel 2028». La precisazione è stata ben accolta da Conte, che ha spacciato la data (già fissata) del 2028 come una novità e un successo.
QUESTIONE DI CREDIBILITÀ
Per Draghi mostrare atteggiamenti ondivaghi, far credere agli alleati occidentali che l’Italia non rispetterà l’impegno assunto in sede Nato, rappresenterebbe un vulnus per la credibilità del Paese. Soprattutto in una fase in cui Roma, come dimostra la telefonata di ieri con Vladimir Putin, sta trovando una certa centralità nella crisi Ucraina. Da qui la reazione dura e ferma di martedì, con la benedizione di Mattarella, per stoppare la capriole di Conte. Volteggi che Draghi aveva previsto, come dimostrano le sue parole di venerdì scorso, a conclusione del Consiglio Ue: «In questo momento l’unica cosa che può fare una politica che vuole bene al Paese è stare uniti. Poi i conti si fanno con la coscienza e anche con il proprio elettorato. Ma non è ora il momento». Per Conte invece lo è.
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Il Messaggero