Comunali Roma, la sfida per il Campidoglio: i voti decisivi arriveranno dalla periferia

È una campagna elettorale, quella per il Campidoglio, che si gioca su una doppia sfida: vincere la battaglia delle periferie (dove c’è il maggiore bacino di...

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È una campagna elettorale, quella per il Campidoglio, che si gioca su una doppia sfida: vincere la battaglia delle periferie (dove c’è il maggiore bacino di voti) ma trattando anche nei quartieri della cinta più esterni temi “alti” come la ripresa dell’economia, la capacità di attrarre capitali o di ospitare grandi eventi, il rilancio del carisma della città soprattutto all’estero. Sono le parole d’ordine utilizzate da Roberto Gualtieri (specie negli ultimi appuntamenti), ma anche da Carlo Calenda e dal candidato del centrodestra Enrico Michetti. Un po’ meno, forse, da Virginia Raggi più impegnata a rivendicare quanto (secondo lei) realizzato nei suoi 5 anni abbondanti di mandato. Sfida complicata, quella dei candidati. Perché poi, in periferia, inevitabilmente i residenti chiedono la soluzione dei problemi spiccioli che li affliggono ogni giorno: il bus che non passa, l’altalena del parco rotta, il marciapiede con le buche, la spazzatura non raccolta. 

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LE PAROLE D’ORDINE
E così, per i quattro sfidanti principali, la difficoltà maggiore è nell’equilibrio del mix da proporre agli elettori. Michetti passa dalla «sicurezza nei quartieri» al «brand di Roma da valorizzare», Gualtieri parla sì «dell’Ama di Municipio» ma poi insiste sulla necessità di «una visione per i prossimi 20 anni, che faccia di Roma il motore del paese», Calenda ha una brochure dettagliata per ogni territorio della Capitale e poi ricorda «l’importanza di Roma come Capitale, che non può essere spogliata delle sue attribuzioni». Sullo sfondo, per tutti quanti, quello che è “treno” che non si può perdere, se si vuole far ripartire la città: l’organizzazione del Giubileo del 2025 e la corsa per ottenere l’Expo 2030, idea nata da Unindustria e che ora è sul tavolo del premier Mario Draghi. 

LE STRATEGIE
In tutto ciò, visto che poi la partita si gioca nella cinta esterna di Roma, ognuno ha anche la necessità di affrontare i temi dell’uomo della strada. Del resto, chi passa a Tor Bella Monaca, Prenestino, Tiburtino, Laurentino, vince anche il Campidoglio, di solito (basti pensare che IV, V, VI Municipio, grandi come delle città medio-grandi italiane, mettono insieme circa 700mila abitanti, un quarto di quelli complessivi di Roma). Ed ecco, allora che partono le battaglie incrociate. Gualtieri va a fare una passeggiata notturna a San Basilio? Ed ecco che, nella serata, spunta Virginia Raggi. La stessa sindaca uscente organizza un appuntamento a Cinecittà. E sulla piazza di Don Bosco girano le “vele” elettorali di Calenda. Il leader di Azione annuncia il tour nei quartieri? E arriva la risposta immediata da Michetti e da Fratelli d’Italia.

IL SECONDO TURNO
L’altra particolarità della campagna elettorale è che finora nessuno – in fondo – sembra troppo interessato ad attaccare nessuno. Ci sono, per carità, alcune scaramucce, le battute sarcastiche, gli affondi dialettici. Ma poi, data la frammentazione che c’è sul primo turno (22 candidati, record assoluto, quattro sfidanti principali con percentuali, stando ai sondaggi, in doppia cifra), nessuno vuole troppo inimicarsi gli elettori degli sfidanti più “prossimi” (politicamente parlando) perché parte di quei voti potrebbero poi essere utili al ballottaggio. E quella diventa tutta un’altra partita. Che non si giocherà più soltanto nelle periferie.


 

 

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Il Messaggero