Renzi «mafioso», la moglie di Brunetta deve risarcirlo con 20mila euro: «Tweet diffamatorio»

Il post fu pubblicato sull'account twitter di Beatrice Di Maio, nome di fantasia ma che, dato il cognome, ingenerò illazioni sulla responsabilità

Renzi «mafioso», la moglie di Brunetta deve risarcirlo con 20mila euro: «Tweet diffamatorio»
Tommasa Ottaviani Giovannoni, moglie dell'ex ministro Renato Brunetta, dovrà risarcire Matteo Renzi con una somma di 20mila euro. Il motivo del contendere è un...

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Tommasa Ottaviani Giovannoni, moglie dell'ex ministro Renato Brunetta, dovrà risarcire Matteo Renzi con una somma di 20mila euro. Il motivo del contendere è un tweet pubblicato il 7 aprile 2016: «Ho le foto di Delrio coi mafiosi» il testo incriminato. Nella foto che ritraeva l'allora ministro delle Infrastrutture, c'erano il premier Matteo Renzi e i ministri Luca Lotti e Maria Elena Boschi. La moglie di Brunetta pubblicò quel post sotto false generalità. Per quel cinguettio, la consorte dell'economista è stata condannata dal Tribunale civile di Firenze per diffamazione aggravata a risarcire il senatore Renzi con una somma di 20mila euro. Il leader di Italia Viva chiedeva mezzo milione di euro di danni. È quanto riporta il quotidiano Il Tirreno.

 

 

Il post sotto nome di fantasia

 

Il post fu pubblicato sull'account twitter di Beatrice Di Maio, nome di fantasia ma che, dato il cognome, ingenerò illazioni sulla responsabilità. Poi la scoperta che l'autrice era Tommasa Ottaviani Giovannoni. Per il tribunale la foto che ritrae il leder di Italia Viva «assume un carattere di gratuito svilimento della sua onorabilità di fronte all'opinione pubblica, con una forma espressiva incontinente». Aver collegato la denominazione «mafioso», secondo il giudice Susanna Zanda, ai tre politici nelle foto, «tra cui quella che riguarda l'attuale senatore Renzi, senza che sussistesse alcun elemento fattuale che potesse giustificarlo, rende fondata la domanda risarcitoria, per difetto dell'elemento della verità e della continenza». Quel post, per il tribunale, si traduce «in offesa gratuita che esula sia dalla critica politica, sia dalla satira politica che, come dice la stessa convenuta, presuppone un fatto vero che venga poi deformato»

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Il Messaggero