Il no referendario di Romano Prodi è un sasso gettato nello stagno, anzi nella palude, dell’ipocrisia del Pd. E che potrebbe aiutare il partito di cui è...
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Referendum, Prodi: ecco perché voterò “no” al taglio dei parlamentari
Quella di ripararsi dietro alla formula pilatesca della “libertà di coscienza”, se questa sarà la decisione che uscirà dalla prossima direzione del partito nei prossimi giorni, pur di non dividersi, di non aderire al no scritto nel dna dei democrat, di avere i piedi in due scarpe e di potersi dire vincitori, senza lasciare il trionfo ai soli 5 stelle nel caso probabilissimo che il sì si riveli maggioritario nelle urne del 20 e 21 settembre. Prodi è politicamente un cartesiano, ed è immune alle doppiezze tipiche della sinistra specie quella di matrice comunista. E il suo no è rivolto con parole di verità - meno parlamentari non significa più efficienza politica e l’importante non è il loro numero ma la maniera in cui vengono scelti ed eletti: la qualità e non la quantità e il punto vero - non solo alla sinistra ma all’intero sistema dei partiti. Perché le ambiguità referendarie riguardano tutti. Nessuno o pochi hanno il coraggio, ma Prodi ce l’ha, di dire il loro no e di essere lineari quanto lo sono, sul sì, i grillini e i Fratelli d’Italia. Gli altri cerchiobotteggiano.
Matteo Renzi dice «non dico come voto, anche perché l’altra volta nel referendum costituzionale ho personificato la scelta è si è visto come è andata». Forza Italia è assai divisa, e sanno tutti lì dentro - a cominciare da Silvio Berlusconi - che il taglio degli onorevoli non risolve nulla ma al volere della “ggente” non conviene opporsi e allora il Cavaliere non pronuncia il suo "no" che lo avvicinerebbe, e ormai accade si svariati punti, al suo storico avversario, cioè appunto il Professore bolognese. Per non dire di Matteo Salvini.
Il Messaggero