Rai, Sanremo non basta: Salini resta sotto assedio

Rai, Sanremo non basta: Salini resta sotto assedio
Non basta il pieno di share e di spot fatto con Sanremo per fare stare tranquillo l’ad della Rai, Fabrizio Salini. Anzi, al Settimo Piano di Viale Mazzini, cuore del potere...

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Non basta il pieno di share e di spot fatto con Sanremo per fare stare tranquillo l’ad della Rai, Fabrizio Salini. Anzi, al Settimo Piano di Viale Mazzini, cuore del potere aziendale, c’è chi dice: «Lui sarebbe prontissimo a dire ciaone e ad andarsene via da questo ingestibile inferno. È solo che deve trovare un altro posto dove andare...». Molti lo vedono in uscita - ma chissà - l’amministratore delegato, che non solo si è reso conto dell’estrema difficolta di rendere operativo il suo Piano industriale su cui ha investito tutto se stesso e considera la vera chance di futuro della Rai ma soprattutto è finito nel mirino del Pd. Deciso a non dargli tregua. 


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I dem hanno avviato e sono montati a cavallo del caso degli imbucati a Sanremo, i 600 e più dirigenti e affini e parenti e amici che hanno invaso Sanremo e tutti - anche l’Usigrai assolutamente estranea allo scandalo, per non dire dell’organismo di controllo contabile Rai che ha avviato un’indagine interna, la Corte dei conti che ha aperto un’indagine e il Cda in subbuglio così come l’intero mondo aziendale - vogliono vederci chiaro in questa vicenda e aspettano risposte già dal Cda del 21 febbraio. 

Ma soprattutto, il Pd - al grido: “Non pensi di salvarsi grazie all’onda, breve, di Sanremo” - è determinatissimo: «O Salini dà segni di discontinuità o troviamo il modo di mandarlo via». Le pressioni dem su Gualtieri, cioè sul Mef azionista della televisione pubblica perché metta in riga o metta fuori Salini, sono sempre più insistenti. Discontinuità non significa soltanto che il Pd vuole il Tg3 per Mario Orfeo, e potrebbe averlo il 21 febbraio. Vuol dire anche che il partito di Zingaretti mira a prendere pure la nuova super direzione Approfondimenti giornalistici, cioè il controllo dei talk show, per Antonio Di Bella, ma questo - che pure è un posto cruciale alla vigilia delle elezioni regionali di primavera, ed è immaginabile la sua importanza da qui al voto del 2023 che magari sarà anche prima - non potrebbe bastare. 


Da Salini il Pd pretende un riequilibrio nella Tgr - che ha direttore e  vice di marca leghista - per non dire del Tg1. Se al Tg2 Gennaro Sangiuliano è stabile, sul telegiornale ammiraglio le mire zingarettiane sono sempre più forti. M5S fa quadrato intorno all’attuale direttore, l’ad Salini sa che non può cambiare Carboni sennò anche i grillini gli fanno la guerra e resta ancora più isolato visto che pure la Lega gli è contro, e il numero uno Rai si trova insomma assediato dalle contese della politica, materia  che lui non maneggia affatto bene. Proprio per questo, assicura chi lo conosce bene, «se trova un altro posto dalla Rai scappa a gambe levate». E magari presto accadrà. A riprova che Sanremo è importante ma non è affatto un’assicurazione sulla vita. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero