Premierato, Tommaso Foti: «Pronti al referendum sulla riforma, ma non sarà un voto sul governo»

Premierato, Tommaso Foti: «Pronti al referendum sulla riforma, ma non sarà un voto sul governo»
Tommaso Foti, capogruppo di Fratelli d'Italia alla Camera, puntate a un voto in aula prima delle Europee? «I tempi ci...

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Tommaso Foti, capogruppo di Fratelli d'Italia alla Camera, puntate a un voto in aula prima delle Europee?

«I tempi ci sono. Ma non faremo colpi di mano, né vogliamo una bandiera da issare. È una riforma sul cuore della democrazia e ben venga il confronto parlamentare. Finora abbiamo visto solo ostruzionismo. Legittimo, certo, ma poco utile».
Il Pd accusa: volete ridurre la democrazia alla "scelta del capo".
«Il Pd dovrebbe ripassare le sue posizioni sulle riforme costituzionali. Fu la sinistra a produrre la relazione Salvi, che prevedeva un premierato con poteri ben più ampi e meno prerogative del Quirinale».
Anche questa riforma tocca i poteri del Colle. Come la nomina e la revoca dei ministri.
«Resta l'atto del Presidente della Repubblica. Non c'è alcuna invasione di campo».
La Lega vorrebbe mantenere l'ipotesi di un secondo premier, voi no. Se il governo va sotto dopo aver messo la fiducia su un provvedimento, bisogna tornare alle urne?
«Mi sembra la soluzione più ovvia. Un conto è un impedimento fisico, che giustifica un avvicendamento a Palazzo Chigi, altro è una crisi politica che richiede una nuova verifica con gli elettori».
Insistere sulla norma "anti-ribaltone" per evitare "accordi di palazzo". Di nuovo, è la democrazia del capo?
«Tutt'altro. È doveroso che il voto degli elettori trovi piena rappresentazione al governo. Siamo abituati a maggioranze che tradiscono il mandato degli elettori».
Il governo Lega-Cinque Stelle?
«Direi il governo Conte-bis. I Cinque Stelle chiamavano il Pd il "partito di Bibbiano", poi tutto dimenticato».
Siete pronti a un referendum?
«Certo. Se ci sarà, saremo pronti. Abbiamo preso un impegno con gli elettori del centrodestra e lo abbiamo mantenuto. La domanda sarà semplice: volete che il voto espresso alle urne sia mantenuto o tradito?
Meloni come Renzi?
«Non vedo questo rischio. Renzi ha fatto della campagna elettorale un all-in: o vinco, o me ne vado. Fu una forzatura per vincere e lo ha fatto perdere. Il destino del governo lo decidono gli elettori».
Insomma, se vince il no, niente dimissioni?
«E per quale ragione? Per aver mantenuto una promessa fatta agli elettori?».
Lega e Forza Italia sono in pressing sulla legge elettorale. Senza indicare il premio di maggioranza nella Carta, così ha detto la Consulta, serve una soglia minima di voti.
«E la Corte l'ha già indicata a suo tempo: il 40 per cento. Si può partire da qui per assegnare il premio».
Il ministro Casellati e FdI hanno aperto ieri al doppio turno. Il ballottaggio non è un nemico del centrodestra?
«Mi sembra un'apertura logica. Se non si raggiunge la soglia - mettiamo del 40 per cento - introdurre un doppio turno può essere una soluzione. Ma sono discorsi prematuri: prima approviamo la riforma in Parlamento, poi scriveremo le regole per le elezioni».
Oggi la mozione di sfiducia delle opposizioni a Daniela Santanchè. Deve dimettersi se rinviata a giudizio?
«Mi pronuncio sui fatti, non su ipotesi. Ad oggi Santanché ha la qualifica di indagata. Chiedere le dimissioni o la sfiducia per una persona indagata è fuori luogo. Uno sfregio. Tanto più se i fatti contestati sono estranei all'attività ministeriali e dunque non esiste il rischio di un inquinamento delle prove nell'ambito delle sue funzioni».
Un'altra mozione di sfiducia è per Matteo Salvini. Le simpatie russe della Lega sono un problema?
«Conta l'attività di governo e del Parlamento, non i volantini. Sull'Ucraina siamo sempre stati compatti. L'opposizione invece no, fra mille distinguo e tentennamenti. Da che pulpito».
Ursula bis alla Commissione Ue? I rapporti con Meloni sono cresciuti nel tempo.
«Quei rapporti sono la logica conseguenza di un capo di governo e del G7 che si coordina con il leader dell'Ue. Basta strumentalizzare la politica estera. Sarà il voto degli europei a indicare chi potrà esprimere il presidente della Commissione».
Draghi è una soluzione?

«Inutile scomodare scenari e retropensieri. Lasciamo parlare gli elettori, poi parleremo noi». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero