Minniti, il pragmatista in fuga dai "padrinaggi"

Minniti, il pragmatista in fuga dai "padrinaggi"
Candidato renziano ma a metà. Lui non pienamente convinto di chi lo appoggia - anche se l'endorsement ufficiale di Renzi non c'è né ci sarà,...

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Candidato renziano ma a metà. Lui non pienamente convinto di chi lo appoggia - anche se l'endorsement ufficiale di Renzi non c'è né ci sarà, c'è l'attivismo quello sì dei renziani - e loro non tutti o non completamente convinti che sia davvero affidabile.

Ecco la strana condizione di Marco Minniti. Avvolto in una nube di tiepidezza. Dimostrata anche dal rifiuto di farsi accompagnare nella gara dalla pasionaria renziana Bellanova. I sindaci con Nardella sono con lui e tanti amministratori locali - come accadeva nel vecchio Pci - hanno lanciato la sua corsa. La narrazione che propone l'ex ministro - «la mia è una candidatura di servizio» - è quella di una sinistra che non ha paura della paura e con il law and order spera di parlare anche fuori dal solito spazio ideologico-culturale. Non apparire come il candidato di Renzi è il suo assillo ma forse anche la sua ambiguità. Ha due angeli custodi molto solidi: Nicola Latorre e Achille Passoni, ex capo organizzazione della Cgil e poi del Pd veltroniano. E un approccio pragmatico, tipico di chi è sempre stato al governo ricoprendo tanti ruoli nel corso del tempo. Si considera infatti più uno statista che un uomo di parte Minniti, e molti - compreso lui - non avevano previsto che scegliesse di candidarsi a segretario. Anche perché è un tipo capace più che nelle competizioni (mai avuto tanti voti) nelle soluzioni. Stavolta arriverà primo, lui che ha sempre giocato non in prima linea? Dice che la sua «è la sinistra dei deboli e basta con l'aristocrazia». Gli rimproverano che parla più di sicurezza che di lavoro, di uguaglianza e di diritti sociali. E si ironizza su di lui: «Ma si candida a segretario dem o a Prefetto?».
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Il Messaggero