M5S: rivedere i canoni di concessione delle acque minerali. Alle regioni andrebbero 9 miliardi

M5S: rivedere i canoni di concessione delle acque minerali. Alle regioni andrebbero 9 miliardi
«Vogliamo rivedere i criteri delle concessioni, misurare le quantità prelevate e gli impatti prodotti e far pagare il giusto alle compagnie, portando nuove risorse...

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«Vogliamo rivedere i criteri delle concessioni, misurare le quantità prelevate e gli impatti prodotti e far pagare il giusto alle compagnie, portando nuove risorse alle Regioni proprio per migliorare il servizio idrico di tutti i cittadini» e «vogliamo ridurre la durata delle concessioni da 30 a 20 anni, con un aggiornamento del canone ogni 3 anni, per un maggior controllo del settore». Così il blog delle Stelle in un post della deputata Federiga Daga che spiega: «La nostra proposta di legge per la gestione pubblica e partecipata delle risorse idriche ambisce a intervenire anche sul settore delle minerali». Insomma, rivedere i contratti, «stipulati spesso con trattative private e quindi poco trasparenti». Se, scrive Daga, «portassimo il costo per il concessionario a 0,02 centesimi al litro (ossia alla soglia minima di 20 euro al metro cubo), l'incasso per le Regioni, attraverso i canoni di concessione, passerebbe dagli attuali 19 milioni a 3 miliardi».


Attualmente, spiega la deputata sul blog, le 26 aziende italiane, con alla testa diversi gruppi multinazionali, lasciano circa 20 milioni di euro nelle casse delle Regioni per acquisire il diritto ad imbottigliare le acque italiane e venderle in tutto il mondo: in pratica «pagano un euro di concessione e ne guadagnano 200». Quello dell'acqua minerale è un «business enorme che utilizza annualmente 16 miliardi di metri cubi di acqua dalle nostre sorgenti».


Ed è un mercato concentrato nelle mani di pochi: «il 68% dell'acqua italiana è appannaggio di 10 produttori. Questi gruppi pagano canoni di concessione irrisori - 0,00084 centesimi a litro - e molte di queste concessioni si basano sul criterio della superficie concessa e non sulla quantità di acqua effettivamente captata, il cui quantitativo spesso non viene neanche comunicato alle Regioni, che nella migliore delle ipotesi si accontentano di controlli a campione» si legge ancora nel post che poi continua: «Nelle casse delle Regioni entrano, in questo modo, circa 19-20 milioni l'anno, cifra che corrisponde allo 0,68% del fatturato medio dei grandi gruppi, a fronte di un quantitativo d'acqua prelevato ingente e non del tutto quantificabile. In pratica, dicevamo, per ogni euro speso in concessioni questi gruppi ne incassano quasi 200: utili stratosferici derivanti dallo sfruttamento di una risorsa non infinita e che appartiene a tutti noi, senza contare il peso ambientale dei milioni di bottiglie in gran parte di plastica che si mandano in giro, quasi sempre su camion, per l'Italia e per il mondo». Anche per questo nella proposta si prevede anche che la concessione possa «essere revocata se vengono accertati problemi qualitativi o carenza della risorsa». Poi «saranno le Regioni a definire il canone per l'utilizzo delle acque minerali per poi rinvestirlo nel miglioramento del servizio idrico integrato, ma vogliamo stabilire una soglia minima».
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Il Messaggero